Presentazione dei Gruppi e Associazioni di Volontariato --> video

 

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DECANATO DI MONZA

Diocesi di Milano

Zona V

RELAZIONE per VISITA PASTORALE 2016

 

1.  Il volto geografico e strutturale del decanato

·      Il Decanato è formato da 24 parrocchie con più di 170.000 abitanti e si sviluppa su tre comuni: Monza – Brugherio - Villasanta.

·      E’ strutturato in 5 Comunità Pastorali  (4 in Monza: Nord – Est - Sud – Ovest e 1 a Brugherio) e in 5 Comunità Parrocchiali (3 in Monza: Duomo, S. Gerardo e S. Fruttuoso e 2 a Villasanta, in attesa di costituire una CP). Ad esse si aggiunge la cappellania/parrocchia dell’ospedale S. Gerardo.

Le CP mostrano fatiche diverse nel loro cammino. Alcune sembrano ancora subire questa scelta come caduta dall’alto, mentre in qualche ambito pastorale si stanno già sperimentando i frutti positivi del lavorare insieme.

Da ricordare inoltre il lavoro, non appariscente ma continuo, del Consiglio Pastorale Decanale, ricostituitosi nel gennaio 2008. In questi anni di profonde trasformazioni, che hanno visto tra l'altro il nascere delle CP e un crescente coinvolgimento dei laici nella pastorale ordinaria, il CPDec si è affermato come luogo di incontro e di conoscenza reciproca tra le diverse realtà ecclesiali, divenendo spazio di condivisione di idee e di proposte e verifiche pastorali.

·        La presenza di Istituti di Vita Religiosa nel Decanato di Monza è una realtà significativa sia per presenza numerica sia per espressioni carismatiche.

a.  Istituti Religiosi Maschili (con 50 presenze, di cui 41 padri e 9 fratelli): Frati Minori, Carmelitani, Barnabiti, Pavoniani, Dehoniani e Seminario teologico del PIME (44 seminaristi).

b.   10 Congregazioni Femminili (20 Comunità femminili con 245 presenze):

-      2 di origine monzese (Case Madri): Suore Misericordine e Suore del Preziosissimo Sangue (con Noviziato).

-      Sono inoltre presenti: Monastero Suore Adoratrici Perpetue del SS. Sacramento (con 22 monache), Madri Canossiane, Francescane Missionarie di Gesù Bambino, Suore di Carità delle Sante Bartolomea Capitano e Vincenza Gerosa, Figlie del Divino Zelo, Minime Oblate del Cuore Immacolato di Maria, Missionarie dell’Immacolata (con noviziato) e Ausiliarie Diocesane.

-      Sono presenti anche tre case di riposo per suore anziane e ammalate: S. Raffaele (Misericordine), Comunità Betania (Preziosine) e Comunità S. Giuseppe (Missionarie dell’Immacolata) che, vivendo con fede la loro inattività e la loro sofferenza, sono una forte testimonianza di preghiera e segno profetico.

c. Sono anche presenti persone consacrate appartenenti ad alcuniistituti secolari: Compagnia missionaria del Sacro Cuore, Ordo Virginum, Memores Domini e Istituto secolare Cristo Re.

d. I consacrati e le consacrate sono attivi in molteplici ambiti: sociale, educativo, formativo, scolastico, spirituale, assistenziale e caritativo. Lavorano nella pastorale vocazionale, parrocchiale, sanitaria. Raggiungono nel loro servizio bambini, giovani, famiglie, poveri, ammalati, anziani, immigrati, carcerati.

e.  Operano in Monza7istituti paritari cattolici, gestiti da comunità religiose: Collegio Bianconi, Istit. Padre di Francia, Istit. Maddalena di Canossa, Scuola Parrocchiale di S. Biagio, Istit. Dehon, Istit. Preziosissimo Sangue, Scuola Margherita Tonoli ai quali si aggiungono 3 Scuole dell’Infanzia: Angelo Custode, Suore Francescane e Maria Immacolata. Sono anche presenti 2 collegi cattolici: l’arcivescovile Villoresi – S Giuseppe e il collegio della Guastalla. 

f.  Sono gestite da istituti religiosi anche diverse strutture di accoglienza per ragazzi e mamme con bambini (Centro Mamma Rita), per minori immigrati (Fraternità Capitanio), per studenti, giovani e famiglie (Pavoniani, Barnabiti, Dehoniani, Frati Minori), per gli anziani (RSA Mater Misericordiae e Centro Diurno Suore Preziosine).

 

2. Il volto della società monzese

a.  Anche Monza sta vivendo un tempo di significativa deindustrializzazione del suo territorio. L’eccellenza era prima costituita dagli stabilimenti Cambiaghi, Singer, Simmenthal, Pagnoni, Ausonia, Fossati & Lamperti, Pastori & Casanova, Cederna e Strebel. L’attuale crisi economica anche nella nostra città sta facendo emergere nuove povertà, con diverse famiglie in cerca di lavoro e di abitazione. A questo deve aggiungersi l’incremento del fenomeno dell’immigrazione, in una città comunque ospitale.

b. La casa, il lavoro (soprattutto per i giovani) e l’anziano rappresentano i grandi temi sociali di una città che resta comunque il capoluogo della Brianza, provincia che detiene il sesto Pil in Italia.

·           Oggi Monza è città del terziario avanzato fortemente proiettata su Milano per tanti professionisti e lavoratori. Anche gli storici gruppi come l’Associazione Industriali (era la più vecchia d’Italia) e la Camera di Commercio di Monza e Brianza, hanno scelto di confluire nei rispettivi organismi di Milano, col pericolo di indebolire l’impresa e l’artigianato brianzolo.

Monza mantiene un’attrattiva lavorativa nei confronti del territorio circostante, ma subisce anche un forte pendolarismo, perché il lavoro sta altrove e il territorio è ormai inserito in una rete più vasta, quella di Milano ”città metropolitana”. Si oscilla quindi tra il desiderio di valorizzare il proprio patrimonio umano, professionale, artistico e culturale, la propria storia di cittadina orgogliosa della sua identità e il bisogno di integrarsi dentro una rete metropolitana più vasta.

·           Anche Monza è segnata dal fenomeno migratorio, con un forte incremento della popolazione straniera in entrata, ma anche in uscita: giovani che trovano all’estero opportunità professionali.

·           Il fenomeno della grande distribuzione tende a cancellare i negozi di quartiere e, anche per una sempre maggiore mobilità dei cittadini, Monza rischia di perdere il tessuto connettivo legato al territorio, diventando sempre più una città nella quale può aumentare il diffondersi dell’anonimato.

·           Questa trasformazione incide anche sui tempi e sulle modalità delle relazioni ecclesiali, sul modello di comunità parrocchiale che non può più essere quella del passato, ma non sa ancora bene come ridefinirsi quale luogo di relazioni significative. Tuttavia permangono nel tessuto cittadino forme di aggregazione e iniziative di collaborazione che riflettono la cultura solidale tipica della Brianza. La stessa Amministrazione Pubblica realizza iniziative di carattere sociale che stimolano l’aggregazione dei cittadini, ancora visibile anche nelle realtà parrocchiali di più antica data, dove è più facile l’incontro tra le persone.

·           Anche la ricca dotazione di istituti scolastici e la varietà di centri culturali cercano di contrastare l’appiattimento di una cultura omologata e consumistica.

c. In questo difficile momento economico è determinante l’apporto che sta offrendo il mondo del volontariato, di ispirazione religiosa e laica, interprete credibile di sussidiarietà. I dati reali dicono che le associazioni di Monza iscritte ai registri sono in tutto 123.

Inoltre si aggiungono:

68 organizzazioni di volontariato, di cui 1 Centro Aiuto alla Vita

7 associazioni di solidarietà familiare

40 associazioni di promozione sociale di cui 2 associazioni di solidarietà familiare.

11 associazioni senza scopo di lucro, di cui 2 associazioni di solidarietà familiare

5 cooperative sociali a Monza (in provincia sono 113)

506 enti non profit a Monza – (in provincia sono 2.982)

11.124 volontari a Monza (su 123.000 abitanti – in provincia sono 52.971)

Questi dati dimostrano quanto sia sviluppata la cultura del dono e della gratuità nella popolazione monzese. E’ un patrimonio che non può essere disperso ma, casomai, rivitalizzato e inserito con maggior fantasia, sapienza e coraggio in questo difficile e complesso cambiamento d’epoca.

d.  La realtà scolastica monzese è caratterizzata da una ricca presenza di offerte educative. La diversificata e quasi completa proposta statale di istituti scolastici di ogni ordine e grado è arricchita da una significativa presenza scolastica degli Istituti religiosi. I dati dell’anno scolastico 2015-16 descrivono la seguente situazione che impegna le comunità ecclesiali ad un serio lavoro di presenza e di dialogo.

·        La popolazione scolastica è composta da 23.942 unità così suddivise:

14,2%  nelle scuole per l’infanzia (3.405 bambini);

26,4%  nella scuola primaria (6.321 scolari);

16,5%  nella scuola secondaria di primo grado (3.939 ragazzi);

42,9%  nella scuola secondarie di 2° grado (10.277 studenti).  

Negli ultimi quindici anni si rivela un sensibile incremento della popolazione scolastica di residenti a Monza.Infatti si passa dai 14.109 iscritti dell’anno scolastico 2001/2002, ai 15.362 iscritti del 2015/2016.

Ogni giorno entrano in città più di 8.500 studenti dalle zone circostanti.

·        In merito alle scelte educative delle famiglie, il 26,4% degli allievi frequenta un istituto gestito da enti privati: le preferenze per la scelta della scuola paritaria sono maggiori nell’educazione rivolta ai bambini (65,5% nelle scuole dell’infanzia, nella primaria il 24,6%); più contenute nell’istruzione secondaria (il 22,1% in quella di primo grado, il 16,2% in quella di secondo grado).

·        Gli studenti stranieri nelle scuole di Monza sono 2.607 (10,9% del totale e circa 600 nelle materne). Negli ultimi quindici anni si sono incrementati di circa 1.500 unità. In dettaglio:

da 274 a 898 iscritti stranieri nella scuola primaria;

da 121 a 419 nella secondaria di primo grado;

da 70 a 731 nella secondaria di 2° grado.

L’89,1% degli studenti stranieri sceglie la scuola pubblica, il 10,9% quella paritaria.  

·        A Monza è dislocata la Scuola di Medicina e Chirurgia dell’università Bicocca di Milano, con tutti i corsi di laurea che fanno riferimento a questa area didattica. Attualmente vi sono due sacerdoti incaricati della pastorale universitaria, con sede presso la parrocchia di S. Gemma.

 

3. Il volto della Chiesa Monzese

3A. L’ascolto educativo

a.  Pastorale giovanile

La Pastorale Giovanile (PG) del Decanato di Monza è una realtà complessa e variegata. Attualmente sono impegnate diverse figure:

-       5 sacerdoti nelle CP: 4 preti a Monza (SS. Trinità d’Amore e S. Fruttuoso, Santi Quattro Evangelisti, San Francesco, Ascensione del Signore) e 1 a Brugherio (Epifania del Signore) e un diacono transeunte nella CP di San Francesco.

-       Una consacrata dell’Ordo Virginum di Aquila e Priscilla all’Oratorio Frassati della CP S. Francesco)

-       1 educatore di Aquila e Priscilla presso gli oratori della CP Ascensione del Signore

-       2 ausiliarie diocesane presso la CP SS. Trinità d’Amore

-       1 Famiglia Km0 che abita in Oratorio San Rocco della CP Santi Quattro Evangelisti

-       1 Famiglia che abita presso l’oratorio della parrocchia di San Fruttuoso.

Nelle parrocchie di San Gerardo e Duomo e nella città di Villasanta manca un referente di PG e se ne occupano direttamente i parroci.

·        Due i fatti che hanno segnato la PG negli ultimi anni:

-       Innanzitutto un rimescolamento e la drastica diminuzione di preti a partire dal 2006.

-       In secondo luogo, la nascita delle CP, a partire dal 2009, ha portato i sacerdoti impegnati in PG a privilegiare il lavoro nella CP a scapito di una progettualità cittadina.

·        L’unica proposta che lo scorso anno pastorale si è fatta a livello decanale è stata la partecipazione alla GMG. Questo evento ha fatto collaborare i sacerdoti nell’organizzazione e ha unito in maniera positiva i gruppi giovanili. Da questa esperienza si può di fatto partire per una proposta giovanile che abbia un respiro più ampio rispetto alla realtà della CP.

Chi è impegnato nella PG è anche consapevole che i giovani non sono soltanto quelli che frequentano le nostre parrocchie, ma la realtà giovanile della città di Monza è molto più grande e coinvolge anche la scuola e l’università. Si sta quindi lavorando per assumere una mentalità diversa che ci renda capaci di guardare alla realtà giovanile della città e del Decanato nel suo complesso.

·        Particolarmente significativa la presenza dello scoutismo (AGESCI) che risale alle origini dello scoutismo cattolico italiano. E’ attualmente attivo nella città di Monza con tre gruppi.

Da molti decenni lo scoutismo monzese fa riferimento alle comunità religiose della città (Francescani, Pime, Dehoniani, Barnabiti). Il riferimento a sacerdoti diocesani è avvenuto spesso per sintonie personali o trascorsi scout dei sacerdoti stessi. I rapporti con le parrocchie sono stati di buona vicinanza, con qualche raro momento di difficoltà.

b. La presenza nella SCUOLA

b1. Dalle statistiche presentate più sopra emerge che il servizio educativo della scuola è numericamente significativo e variegato. La scuola cattolica rappresenta una storica ricchezza della comunità monzese,con una presenza riconosciuta. Ma anche nelle scuole statali è presente un fermento che può essere costruttivamente intrecciato all’attività educativa che la Chiesa offre non solo ai credenti della città, ma a tutti i suoi abitanti.

A Monza è importante non solo l’area liceale, spesso forte come e più della stessa Milano, ma anche un robusto apparato tecnico e professionale, che consente attese medie nei tempi di accesso al mondo del lavoro, comunque più basse di altre zone della stessa Lombardia.

E’ significativa in città la presenza di personale scolastico con una formazione cristiana o non lontana dalla dimensione religiosa: anche fra le nuove leve le persone che accettano la sfida di insegnare spesso vengono da una formazione personale che si è intrecciata, in modo più o meno forte, con quella cristiana.

I docenti di IRC della città, in particolare nelle scuole superiori statali, da tempo lavorano insieme, dedicando ogni anno alcune ore alla formazione comune. per favorire scambi di esperienze didattiche, maturazione di sensibilità comuni, letture condivise delle esigenze dei giovani.

b1. Scuole dell’Infanzia paritarie

La presenza della scuola cattolica è forte e stabile nel settore della scuola per l’infanzia, spesso legata al territorio della parrocchia e frequentata da famiglie di ogni classe sociale grazie anche al contributo significativo della Amministrazione Comunale, che consente di contenere le rette in limiti ragionevoli. Le scuole dell’Infanzia Paritarie nel Comune di Monza sono 21 e nel 2015/16 hanno visto la presenza di 2300 bambini, di cui 461 non residenti. Purtroppo abbiamo qualche motivo di preoccupazione a causa dei risvolti economici.

b2. Istituti scolatici paritaridi ispirazione cristiana

·               Anche la scuola primaria ha una buona presenza, e può contare su qualche aiuto pubblico, soprattutto in tema di disabilità. Salendo di grado vengono meno questi aiuti, che sostanzialmente si riducono alla dote scuola regionale: le scuole secondarie di primo grado e soprattutto quelle di secondo grado in questi anni faticano non poco.

Si evidenziano le questioni economiche perché, al di là della loro oggettiva importanza, sono quelle che impediscono la scelta da parte di molte famiglie che si vedono costrette a non considerare la offerta formativa delle nostre scuole per impossibilità di far fronte ai costi.

·               Ciò porta al secondo elemento: la possibilità di una efficace presenza pastorale. Sempre più spesso ci si chiede come utilizzare la risorsa costituita da istituzioni che incontrano ogni giorno un numero considerevole di adolescenti e di giovani che ormai nessuna parrocchia intercetta in tale quantità. La collaborazione su scala locale tra clero dedicato alla pastorale giovanile e scuola, la possibilità di dedicarsi in modo specifico alla questione da parte di qualche sacerdote, lo studio di forme di collaborazione tra parrocchie e scuola dovrebbero diventare oggetto di una riflessione comune.

·               Da segnalare che la parrocchia San Biagio è il principale  socio dell’ECFOP, Ente Cattolico per la Formazione Professionale, che vede la presenza di circa 1000 alunni distribuiti in cinque  sedi (Monza, Carate, Desio, Vimercate, Milano) e offre  percorsi di formazione in diversi ambiti professionali: alimentare,  estetico, amministrativo, elettrico.

c.  Le società sportive legate alle parrocchie

Gli oratori monzesisono stati da sempre un punto di riferimento per chi, in città, voleva e vuole svolgere attività sportiva. Molte delle società sportive presenti sul territorio monzese, sono nate in oratorio e sono ancora legate, in modo più o meno diretto, agli oratori stessi.

Il bacino di utenza si aggira intorno ai 3.500 atleti.

Molte di queste società hanno mantenuto un legame stretto con il mondo oratoriano, mentre altre si sono rese autonome.

Si è cercato, in particolar modo in anni recenti, di organizzare un coordinamento delle società sportive oratoriane, ma tutte le varie iniziative sono andate scemando e da un paio d'anni non abbiamo avuto modo di confrontarci sul territorio.

Tra le varie società, i contatti sono limitatia conoscenza e a scambi di informazioni, ma anche questo avviene spesso solo tra alcune realtà, confinanti territorialmente.

 

3B. Le Comunità Educanti

a. Le celebrazioni liturgiche

Ogni comunità si impegna a rendere le celebrazioni liturgiche sempre più partecipate dai fedeli e segno visibile del volto di una Chiesa che ascolta, loda e ringrazia il suo Signore, consacrando a Lui la vita e affidandogli il futuro della società in cui vive.

E’ presente lo sforzo di animare le diverse tipologie di assemblea curando in particolare le forme celebrative che possono introdurre anche i piccoli nei segni e nei ritmi della liturgia.

Tra i punti critici rileviamo la necessità di continuare almeno in alcuni periodi dell’anno, la formazione degli operatori liturgici, approfondendo aspetti della liturgia di rito romano. Rimane anche evidente la preoccupazione per il divario tra la partecipazione dei ragazzi agli incontri della iniziazione cristiana in preparazione ai Sacramenti e la presenza, numericamente scarsa, alla celebrazione dell’Eucaristia domenicale.

Con la costituzione delle CP appare più chiara la necessità di una revisione degli orari delle SS. Messe festive e feriali.

Emerge anche l’opportunità di definire un repertorio condiviso dei canti per la liturgia nelle varie comunità del decanato, facendo tesoro di quanto è proposto a livello diocesano e nazionale.

b. Catechesi Iniziazione cristiana

La storia dell’IC nelle diverse parrocchie del Decanato è molto frastagliata. Ogni parrocchia nella sua storia ha modellato il cammino di introduzione e accompagnamento dei bambini e dei ragazzi all’incontro personale con Gesù all’interno della Comunità cristiana in modo singolare e corrispondente al volto della Chiesa su un determinato territorio. Negli anni precedenti la CP di Brugherio aveva affiancato ai percorsi tradizionali un cammino a ispirazione catecumenale che aveva gradualmente coinvolto bambini, ragazzi e famiglie. Le nuove indicazioni della Diocesi hanno stimolato ad elaborare, insieme a tutti i catechisti, un percorso comune per tutta la CP. Il percorso formativo per tutta la Diocesi e a cascata per tutte le comunità è stato di somma utilità: un grande valore aggiunto.

Le altre parrocchie, che non si erano sbilanciate nella sperimentazione, stanno tuttora passando dal catechismo tradizionale ai nuovi orientamenti di IC: in tutto il decanato è previsto l’inizio del catechismo all’età dei 7/8 anni (corrispondenti alla frequenza del secondo anno della scuola primaria), la Cresima viene per lo più amministrata all’età dei 10/11 anni (corrispondenti alla frequenza del quinto anno della scuola primaria) e in alcuni casi all’inizio del primo anno della scuola media inferiore per favorire l’inserimento nel gruppo dei preadolescenti.

·           Alcuni punti critici.

-  Il rapporto con i genitori. Si cerca di favorirlo con incontri nel fine settimana, ma la risposta delle famiglie è molto diversa tra le parrocchie: da una partecipazione più subita in cui partecipa un solo genitore perché “si deve” a una partecipazione di tutta la famiglia. I genitori sembrano più coinvolti nel primo anno del cammino di IC. Scarsa è generalmente la partecipazione delle famiglie e dei ragazzi alla Messa domenicale.

-  Le società sportive non sempre sono rispettose degli accordi presi a livello di città sui giorni del catechismo per evitare sovrapposizioni con gli allenamenti.

-  C’è una discreta mobilità dei genitori tra parrocchie vicine alla ricerca del percorso di catechesi più comodo.

·           Alcuni punti di forza.

-  In Decanato si è lavorato da molti anni sulla formazione teologica delle catechiste con i corsi promossi da p. Giuseppe Moretti. Per agevolare la formazione, da quest’anno pastorale proporremo alle catechiste i laboratori diocesani realizzati in loco, con l’aiuto di relatori in accordo con l’Ufficio Catechistico diocesano.

-  Nelle famiglie c’è la convinzione diffusa (anche solo per tradizione) della “bontà” dei percorsi cristiani proposti dalle parrocchie. Tra le famiglie, quelle che si lasciano coinvolgere nel cammino, spesso si rivelano generose ed entusiaste.

-  In collaborazione con le scuole dell’infanzia parrocchiali viene particolarmente curato l’IRC e in qualche parrocchia alcune Messe sono animate con un’attenzione specifica alle famiglie con bambini piccoli.

-  All’interno del gruppo catechisti ci sono presenze qualificate per esperienza educativa e formazione personale, alcuni partecipano come formatori a livello diocesano.

c. Pastorale familiare

·           La pastorale familiare in Decanato è animata da una commissione, già presente dal 1985/86,e animata da diversi sacerdoti succedutisi nel tempo. Si riunisce con cadenza mensile, per un incontro di interscambio e di verifica. Vengono veicolate sul territorio le proposte della Zona e della Diocesi e, in passato, ci si è occupati di momenti di formazione per gli operatori di pastorale familiare

·           Di particolare pregio è stata negli anni la cosiddetta “Scuola di Maggio” destinata agli operatori come momento di formazione sulle tematiche di pastorale familiare. Tale iniziativa non è stata più riproposta perché, sempre nel mese di maggio, per due anni di seguito, il momento di formazione è stato proposto a livello di Zona nel centro pastorale di Seveso.

·           Tra le attività che caratterizzano la pastorale familiare ricordiamo la particolare cura per la preparazione della Veglia di preghiera della famiglia in gennaio, coinvolgendo i padri carmelitani: un momento sentito, abbastanza frequentato, arricchito da un bel momento di convivialità.

·           Buona è anche la collaborazione con il “Centro Orientamento Famiglia” (COF), il consultorio familiare di ispirazione cristiana, impegnato sulle tematiche afferenti le criticità matrimoniali e familiari in genere.

·           In seno a questa commissione si è dato avvio al percorso di fede rivolto alle persone separate, sole, divorziate o che vivono nuove unioni, così come proposto dalla Diocesi.

·           Fra i desideri, oltre l’impegno di coinvolgere maggiormente tutte le parrocchie in iniziative comuni, sussiste l’interesse a rilanciare i Gruppi Familiari: sia quelli che si radunano attorno alla Parola di Dio, sia quelli impegnati in itinerari formativi, catechetici e di animazione delle altre famiglie nelle diverse comunità.

d. Associazioni e movimenti

Nel nostro Decanato sono presenti molte Associazioni e Movimenti ecclesiali, spesso inseriti nei cammini delle CP e delle Parrocchie.

·        Azione Cattolica: attiva nell’organizzazione e promozione di momenti di ascolto della Parola (Lectio Divina per adulti e Scuola della Parola per Adolescenti) e con cammini decanali per le varie fasce d’età.

·        Comunione e Liberazione che, oltre ad un impegno personale e comunitario nella vita ecclesiale, è particolarmente attiva nel campo culturale.

·        AGESCI è significativamente impegnata con ragazzi, adolescenti e giovani.

·        Rinnovamento dello Spirito, con proposte di gruppi di preghiera.

·        Movimento dei Focolari e altre realtà che sostengono la vita dei loro membri e propongono varie iniziative a tutti.

Si potrebbero attivare forme di coordinamento che ora sono vive solo in alcuni campi.

e.  La Carità 

e1. In quasi tutte le parrocchie si è realizzata la Caritas per la promozione dell’azione caritativa e come proposta di coordinamento di tutto ciò che la fantasia della carità ha fatto sorgere nelle nostre comunità. Più che un organismo pastorale, quale dovrebbe essere, la Caritas è vissuta come una associazione che si affianca ad altre, storicamente più radicate nel territorio, ad esempio la S. Vincenzo. In questi ultimi anni la nascita di CP ha portato ad una migliore organizzazione e a qualche perdita di ciò che si è sempre fatto. 

·        La programmazione dell’attività caritativa è fortemente guidata e sostenuta dalla Caritas Decanale, che ha una sua visibilità e un suo riconoscimento sul territorio. Il lavorare insieme ci ha aiutato ad affrontare problematiche impegnative nei 5 Centri di ascolto del decanato.

·        Questo ha fatto nascere una Cooperativa Sociale, Novo Millennio, che è anche cooperativa della Zona Pastorale, due Associazioni ONLUS (Monza Ospitalità per l’emergenza casa, e Volontari Caritas, per la promozione del volontariato) e una Fondazione (Monza Insieme) per promuovere la cultura del lavoro femminile.

·        I temi affrontati in questi anni, che hanno determinato anche la nascita di opere-segno, sono il maltrattamento della donna (Casa Jobel, accoglienza per donne maltrattate), un nido (BimbInsieme) dove sperimentare l’integrazione, Centri Diurni per giovani disabili e per giovani con problematiche psichiche.

·        In particolare si è stati attenti ai processi di integrazione. “Spazio Colore” è stata una intuizione che ha generato possibilità di incontro delle donne immigrate sui temi educativi della famiglia, con una particolare attenzione al discorso religioso che, pur proponendo i valori cristiani, è aperta al dialogo con altre espressioni religiose.

·        L’intero Decanato è stato attento e generoso alla proposta diocesana del Fondo Famiglia Lavoro. Si è creato un Fondo locale che ha raccolto circa 500.000 euro e ha aiutato molte famiglie creando un servizio di ricerca e di accompagnamento al lavoro stabile.

e2 L’attenzione alle famiglie in difficoltà è prioritaria nell’azione educativa della Caritas Decanale e si è concentrata su tre momenti della vita familiare.

1. La famiglia nel suo nascere e nel suo accogliere una nuova vita. Il Nido BimbInsieme è attento a sostenere i primi passi della genitorialità con particolare attenzione alla figura educativa del padre. Interessante il lavoro di ricerca sul ruolo della paternità anche in altre culture. Significativa è anche la collaborazione con il Centro Aiuto alla Vita e il Consultorio.

2. L’adolescenza. Stiamo intensificando il lavoro nei doposcuola per l’accompagnamento dei pre-adolescenti e dei processi integrativi delle seconde generazioni.

3.  L’età anziana. Valorizzando l’operato di altre cooperative del territorio, abbiamo pensato di dare vita a gruppi di auto-aiuto nell’offrire ai familiari di persone anziane con problematiche patologiche la possibilità di incontrarsi, di condividere difficoltà, ridurre forti stati di tensione.

e3. L’attenzione ai senza fissa dimora. Per i senza tetto della città e della Brianza è attivo fin dal 1936 l’Asilo Notturno, oggi denominato “Centro Polifunzionale”. Nel 2015 si sono registrati 11.260 pernottamenti, sono stati erogati 30.000 pasti e 7.500 sacchetti "take away". In questi ultimi anni, la perdita del lavoro e il disfacimento di molte famiglie hanno fatto sì che anche un numero sempre crescente di nostri concittadini si siano rivolti alla struttura per chiedere ospitalità. Durante la permanenza, che ha la durata di 3 mesi, agli ospiti vengono erogati una serie di servizi alla persona (cena, doccia, cambio lenzuola settimanale, uso lavatrici, vestiario, prodotti per l’igiene personale) ma soprattutto ascolto e vicinanza per ogni necessità, in vero “spirito vincenziano”.

La struttura è di proprietà del Comune, che ne affida la gestione alla San Vincenzo di Monza.Vi sono ospitati 36 uomini adulti homeless e funziona 365 giorni l’anno con l'aiuto di 10 soci della Conferenza Asilo Notturno e 32 collaboratori esterni, che svolgono l'accoglienza degli ospiti e i servizi mensa. Una buona collaborazione si è instaurata con l’unità di strada della CRI per quanto riguarda la segnalazione dei senza tetto.

e4. La Caritas Decanale è impegnata a sostenere altre realtà operanti sul territorio, a favore di persone in grave stato di emarginazione. Collaboriamo per questa iniziativa con la S. Vincenzo, l’UNITALSI, il Centro Aiuto alla Vita e le comunità di religiosi.

Vorremmo segnalare una particolare sensibilità presente nel nostro territorio, che vede protagonisti parecchi giovani. Parliamo di Volontariato in tante associazioni, in particolare nell’ambito delle disabilità. Ci stiamo chiedendo se non è proprio da qui che si deve partire per coraggiose proposte ai giovani stessi, che aiutino a riflettere, ad aprirsi a domande di senso e anche a una ricerca di fede.

-  Riteniamo, e lo chiediamo al nostro Vescovo, di considerare il volontariato giovanile quale opportunità per una pastorale giovanile, che magari esca dagli schemi tradizionali ma aiuti a dar valore alla vita proprio partendo dalle opere di misericordia.

-  L’attenzione al mondo giovanile sarà il nostro impegno dei prossimi anni sollecitati anche dal crescere dei fenomeni di dipendenza e di abuso di sostanze.

-  C’è la necessità di andare incontro alle seconde e terze generazioni delle famiglie di immigrati. E’ un problema grave, evidenziato anche dalla presenza nel carcere di Monza di giovanissimi immigrati con reati dovuti alla non-capacità di inserimento nel territorio.

-  A ciò si affianca l’impegno di accoglienza di giovani richiedenti asilo che è particolarmente seguita con azioni di grande generosità.

f. Maggior attenzione agli eventi della vita: tra il nascere e il morire.

f1.  Catechisti battesimali

In varie parrocchie e CP è viva l’attenzione per l’accompagnamento dei genitori che chiedono il Battesimo per i loro figli. Seguendo il cammino proposto dalla Diocesi, si vivono momenti di incontro e di riflessione con ogni famiglia da parte del sacerdote e dei catechisti (laici e religiose) e un incontro comunitario in preparazione alla celebrazione del sacramento.

Alcune parrocchie hanno da poco incominciato questo percorso, altre lo stanno consolidando.

Non è molto presente la proposta di cammini per i genitori nel triennio successivo il Battesimo e per genitori e bambini negli ultimi anni della Scuola dell’Infanzia.

Stiamo avviando un luogo di confronto e di cura della formazione dei catechisti battesimali a livello decanale.

f2.  Pastorale Sanitaria

Nel nostro decanato sono molte le Case di Cura, realtà in cui la malattia e la sofferenza sono di casa: l’ospedale San Gerardo, la Clinica Zucchi, il Policlinico, l’Hospice Santa Maria delle Grazie e quello di SLAncio, anche per i malati di SLA. A queste è necessario però accostare le Residenze Sanitarie Assistenziali dove vivono moltissimi dei nostri anziani.

Nel 2016 è stata istituita la Commissione decanale di Pastorale Sanitaria. Uno dei suoi primi impegni è stato quello di attuare una ricognizione della realtà, nell’intento di colmare eventuali lacune e di non lasciare solo nessun ammalato né i suoi familiari, garantendo una adeguata assistenza spirituale.

·        Nell’Ospedale S. Gerardo e nella Clinica Zucchi vi è una presenza costante di cappellani, mentre al Policlinico attualmente viene celebrata una S. Messa il sabato pomeriggio.

·        Nell’Hospice Santa Maria delle Grazie,nella RSA S. Pietro e all’Hospice SLAncio operano dei religiosi come cappellani.

·        Nella RSA S. Andrea viene celebrata una S. Messa il sabato pomeriggio da don Emilio Caprotti, sacerdote 94enne residente nella CP Ascensione, il quale svolge anche alcune funzioni di cappellano (visita ai degenti e intervento su chiamata per l’Unzione degli Infermi).

·        Più variegata è la realtà delle altre Residenze Sanitarie per Anziani, nei confronti delle quali occorre ripensare una presenza di assistenza spirituale, attualmente offerta in modo precario. Le varie presenze di assistenza religiosa ed umana richiederebbero anche un miglior coordinamento, in particolare per quanto riguarda le Associazioni  di Volontariato (Avo, Abio, Unitalsi, Oftal).

·        Talvolta la comunità parrocchiale è assente da questi luoghi di sofferenza, col pericolo di precludersi la possibilità educativa dell’incontro, soprattutto per ragazzi e giovani, con il mistero della sofferenza.

-         In diverse parrocchie, si attua in modo continuativo la visita ai malati, offrendo loro anche l’Eucarestia con i ministri straordinari della Comunione.

- Ulteriori obiettivi della Commissione saranno innanzitutto quello di promuovere un più continuativo coinvolgimento delle comunità nei luoghi di sofferenza e di migliorare la comunicazione tra cappellani, sacerdoti e ministri straordinari della Comunione, per segnalare più tempestivamente, nel rispetto della privacy, il desiderio dei pazienti di una adeguata assistenza spirituale, una volta dimessi dall’Ospedale.

f3. La presenza del carcere cittadino.

La Casa Circondariale di Monza, ospita circa 600 detenuti, per lo più in attesa di giudizio, e circa 400 Agenti di Polizia Penitenziaria. L’Amministrazione Comunale ritiene questo luogo come un vero quartiere della città. Ci sono persone detenute per reati comuni in 11 sezioni; i protetti in una sezione, i collaboratori di giustizia in un’altra e una unità di osservazione psichiatrica.

·               L’azione pastorale dei cappellani trova nell’Eucaristia domenicale il suo centro e il suo punto di riferimento. Quasi 200 persone partecipano alle varie celebrazioni, anche se c’è un’alta presenza di detenuti di religione musulmana. Sorprende l’attenzione nel seguire la lettura del Vangelo domenicale. In tutte le sezioni c’è un’ora di catechesi svolta dai volontari. Si registra in questo anno, in cui le celle sono state aperte per più della metà, un calo di frequenze; c’è molta più distrazione e disimpegno. Paradossalmente si può dire che più si sta meglio, meno ci si impegna. Anche la partecipazione scolastica e qualche altra proposta segnano un calo numerico. C’è molto ozio e si perde molto tempo!

·               Si fa molta fatica a far vivere il Sacramento della Riconciliazione; sia perché si cerca di rifiutare una risposta immediata a tale richiesta, perché si acquisti maggiore consapevolezza del sacramento stesso, sia perché occorre fare qualche “lavoro di rimessa in piedi” della persona (molte persone detenute sono tossicodipendenti). La presenza dei cappellani si esprime in particolare nei colloqui e negli incontri, attuati nelle diverse sezioni.

·               Molto preziosa è la collaborazione di due religiose. Importantissima la presenza dei volontari dell’Associazione Carcere Aperto, nata venti anni fa, aperta a tutti e di ispirazione cristiana.

·               E’ pure significativa l’apertura al territorio: graditissima è stata la visita dei parroci del decanato, che avrà un seguito. Si sta pensando ad un percorso di catechesi per giovani del decanato, che vogliono verificarsi nella fede, confrontandosi con coetanei detenuti per raccontarsi i diversi cammini di fede.

f4.  Ministri al Sepolcro. Questo gruppo si è costruito in città dal 2008. E’ formato da una ventina di fedeli laici ai quali è stato conferito un mandato, rinnovato ogni anno, perché guidino la preghiera al cimitero,accompagnando la salma giunta dopo la liturgia funebre nelle diverse parrocchie, compiendo in tal modo un’autentica opera di misericordia.

g. Formazione adulti

g1 Nella vita delle CP e delle Parrocchie sono molteplici le proposte per gli adulti. Le mete che ci proponiamo sono la crescita nella fede e l’incremento di relazioni buone.

-       I cammini con i genitori dell’Iniziazione Cristiana e del post-Battesimo

-       La proposta dei Gruppi di Ascolto

-       I cammini di ascolto, studio e preghiera sulla Parola di Dio

-       I percorsi di catechesi per adulti vissuti in vari modi e cadenze diverse nelle parrocchie.

A questi vanno aggiunte le proposte culturali e sociali. Si cerca inoltre di far crescere la consapevolezza che ogni cristiano è chiamato a essere evangelizzatore, sollecitando all’incontro informale con altri adulti, con cui riflettere sui grandi valori della vita.

g2  Movimento Terza Età. Come è noto il fine del Movimento è di promuovere la formazione religiosa, spirituale,culturale e sociale degli anziani. Il nostro Decanato conta 11 gruppi parrocchiali aderenti al Movimento Diocesano. Gli iscritti sono 212 ma i partecipanti agli incontri, che si tengono settimanalmente in quasi tutti i gruppi, sono almeno il doppio.

h. Coinvolgimento dei cattolici stranieri

La presenza di un buon numero di cattolici provenienti da altri Paesi (America Latina, Filippine e Sri Lanka) ci interpella. Non è facile entrare in contatto con loro.

Per favorire questo rapporto stiamo vivendo alcune attenzioni:

-  la presenza di un sacerdote filippino e di uno dello Sri Lanka favoriscono l’accompagnamento di questi cattolici;

-  la celebrazione mensile di una Eucaristia in spagnolo a San Carlo di Monza e a Villasanta cerca di offrire percorsi di inserimento nella vita delle comunità;

-  i cammini di Iniziazione Cristiana, gli incontri con i genitori e la vita degli Oratori, durante l’anno e con le attività estive, sono una via preziosa per un coinvolgimento di ragazzi e famiglie.

i. Missione

La Pastorale missionaria nel Decanato di Monza porta con sé una storia ricca e gloriosa. In passato le vocazioni sacerdotali e religiose missionarie erano numerose. I gruppi missionari si sono formati e consolidati lungo gli anni, nel sostegno economico e spirituale dei missionari nativi, o legati alle parrocchie.

·           Attualmente la pastorale missionaria sembra passare un periodo di crisi: i gruppi missionari non sono riusciti a coinvolgere forze giovani, e seppur nelle loro attività (per lo più orientate al recupero di fondi) siano lodevoli per gli sforzi compiuti e per la sincera solidarietà verso i missionari all’estero, si sentono in difficoltà e bisognosi di aiuto, necessitano di una riforma, specialmente nella loro essenza e nel modo di comunicare la passione missionaria verso tutti.

·           Dal 2013 al 2015 gli animatori missionari delle varie parrocchie (10-15 persone) si sono trovati mensilmente, presso la Comunità delle Missionarie dell’Immacolata (PIME), per mementi formativi e per l’organizzazione di eventi missionari a livello decanale: veglie di preghiera per l’ottobre missionario e per i Missionari martiri, testimonianze, musical, ecc…

·           Il territorio è ricco di associazioni a scopo missionario, ONLUS e Gruppi di volontariato, a sostegno delle missioni. Nella CP Quattro Evangelisti e in San Fruttuoso l’Operazione Mato Grosso, e l’Associazione Sguardi hanno una valenza di animazione missionaria, anche se non siamo riusciti a coinvolgerli nelle attività decanali.

·           Sarebbe auspicabile non moltiplicare servizi e incontri, ma potenziare la comunicazione e il coinvolgimento, intercettando le presenze missionarie, le associazioni e le comunità che si occupano del sostegno alle chiese sorelle di altri Paesi e facendo da ponte con gli uffici diocesani.

 

3C. Nella società con lo stile del servizio

In Decanato sono presenti, a livello ecclesiale, 3 associazioni o gruppi di lavoro che svolgono un servizio pastorale nell’ottica di lasciarsi interrogare, riflettere insieme e proporre motivi di dialogo e di confronto sulla realtà socio-politica monzese.

Con la nascita dei Centri Civici in città diventa urgente attivarsi per costruire rapporti significativi e di dialogo costante tra essi e le diverse comunità parrocchiali e pastorali presenti, evitando ogni forma di ignoranza reciproca e mancanza di collaborazione.

E’ inoltre opportuno creare alleanze informative e formative tra le associazioni di volontariato di ispirazione cristiana e quelle laiche per meglio leggere insieme le situazioni di bisogno personale e sociale e collaborare più efficacemente per dare risposte adeguate.    

a.  Il GranisSeguendo le indicazioni diocesane del 2012 si è costituito in Decanato un gruppo denominato GRANIS (GRuppo di Animazione Sociale). E’ composto da persone animate da spirito di servizio civile ed ecclesiale, convinte che la forza della testimonianza cristiana nella società e nell’azione politica nasca da una costante comunione col Signore Gesù, nel segno della stima reciproca, pur militando in schieramenti diversi. Il metodo di lavoro consiste nell’incontrare esperti impegnati nei diversi ambiti del servizio sociale e politico per confrontarsi con loro.

b. L’Equipe “mondo economia”– Questo gruppo è sorto nell’ottobre 2013, partendo dalla costatazione che l'economia è uno degli aspetti della convivenza che oggi, più di ieri, chiede un’attenzione da parte della comunità cristiana. Meglio ancora, alla comunità cristiana interessano le persone dentro il mondo dell’economia. La riflessione della Chiesa su questi temi da anni si è rafforzata, ma necessita di una continua riflessione in dialogo con tutti, e soprattutto di essere fatta conoscere ed entrare nei meccanismi della vita quotidiana. Il tentativo fatto in questi anni e in questo campo di missionarietà è però fermo e necessita di un ripensamento per oggettiva mancanza di persone che possano effettivamente lavorare con tempo e competenza.

c. L’ UCID (Unione Cristiana Industriali e Dirigenti) - La Sezione di Monza e Brianza è nata nel1973, si propone di porre al servizio della comunità l’esperienza, la conoscenza e la riflessione che derivano dalle attività imprenditoriali e professionali dei suoi soci per testimoniare i valori cristiani nell’agire quotidiano, ribadendo come valori fondamentali quelli della Dottrina Sociale della Chiesa. Oltre agli incontri conviviali a cadenza mensile, i soci si riuniscono nella Casa del Decanato per incontri coordinati dall'Arciprete e da diversi soci per riflettere sui temi inerenti la dottrina sociale e per cercare di attuare una reale e cosciente corresponsabilità nel servizio per lo sviluppo del bene comune, svolgendo la propria professione nel costante riferimento al Vangelo e alla DSC.

 

3D. Animazione culturale e comunicazione

a.  Ecumenismo e dialogo interreligioso

Nella nostra realtà si cammina ecumenicamente in prevalenza con la Chiesa ortodossa. Nella città di Monza la chiesa San Gregorio è affidata alla Chiesa Ortodossa Rumena. Vi è la presenza stabile di un parroco, Padre Pompiliu Nacu, che vi abita con la sua famiglia. Padre Pompiliu partecipa con interesse e con spirito di collaborazione alla vita della nostra Chiesa: vi sono rapporti fraterni positivi, con inviti da entrambe le Chiese a partecipare a momenti significativi per ciascuno. Non abbiamo un dialogo ugualmente fecondo con altri cristiani, come ad esempio le Chiese evangeliche.

-  Momento centrale è la settimana di preghiera per l’Unità dei cristianiE’ partecipata, anche se in modo non sempre intenso da tutte le nostre parrocchie.

- Non riusciamo a coinvolgere abitualmente le Chiese evangeliche, anche perché non sappiamo in che misura siano presenti nel nostro Decanato.

·        Rimane la questione dicome aprire all’ecumenismo le nostre parrocchie nella loro vita ordinaria. Quali percorsi di formazione è bene favorire?In questi anni le nostre parrocchie, assorbite da numerose e non facili questioni pastorali di organizzazione interna, non hanno avuto tempo o possibilità di curare e coltivare un sano dialogo ecumenico, in comunione con la Diocesi.

-  Forse è bene riproporre il gruppo ecumenico, che è sempre stato attivo ed in sintonia con le nostre parrocchie (anche se forse non con tutte). Di fatto, in questo ultimo periodo, è rimasto «come uno spazio vuoto» col rischio che venga riempito da realtà spirituali cattoliche legittime ed attive... ma forse, con una sensibilità ecumenica poco aperta...

- Un’opportunità per riallacciare il dialogo con gli evangelici presenti tra noi, potrebbe essere l’ipotesi di gemellaggio con Eisenach,in occasione del Centenario della Riforma.

·        Il dialogo con le altre religioni viene vissuto soprattutto con l’Islam, presenza qualificata nel nostro decanato.

-  Ci sono stati momenti ufficiali di incontro in alcune feste significative del mondo islamico o in occasione del Natale: in generale, riusciti bene. Viene coltivato un buon rapporto feriale con alcune famiglie musulmane, che incontriamo nei nostri oratori, quando portano i loro figli.

-  Un altro momento di conoscenza e di incontro avviene nell’ambito della San Vincenzo e della Caritas cui si rivolgono per trovare qualche aiuto o per imparare la lingua italiana.

-  Il clima diffuso di sospetto nei confronti della religione islamica genera in loro chiusura e irrigidimenti: ciò rischia di avvelenare i nostri rapporti cordiali e rispettosi. I nostri bambini, che non vedono differenze ed accolgono volentieri i loro coetanei di altre religioni, ci insegnano come agire per crescere in una reale fraternità.

- Con altre presenze religiose (come buddismo, induismo...) non ci sono particolari relazioni istituzionali stabili.

·        Prudenza, equilibrio e un sano discernimento-distacco esercitiamo nei confronti di presenze “religiose ambigue”, che non sono riconosciute dal Consiglio Ecumenico della Chiese, in Milano. Non ci sembrano presenze numericamente rilevanti o particolarmente influenti sul nostro territorio.

b. Centri Culturali e istituzioni formative

Vi è un indubbio fermento culturale che attraversa da sempre il Decanato di Monza, le sue Comunità parrocchiali, i gruppi culturali, le associazioni e i movimenti. E’ un fermento che ha una radice antica, che si è moltiplicato ulteriormente negli anni delle grandi lotte sociali, ha vissuto pagine importanti di resistenza alle tensioni autoritarie e assolutistiche. E’ un fermento che ha conosciuto molte forme, dall’impegno politico, al giornalismo, alla promozione di attività culturali, alla formazione vera e propria. I luoghi dove questa bellezza si esercita è nei Centri culturali, nei musei, nei teatri, nelle sale d’incontro, nelle singole parrocchie. E’ una bellezza che prende la forma di lezioni a livello universitario, di incontri – confronto tra Chiesa e società, tra laici e credenti, anche di diversi fedi, per discutere insieme su come costruire esempi di vita buona, in questo tempo complesso e che spesso tende più ad evidenziare ciò che divide, rispetto a ciò che unisce.

Gli ambiti nei quali si esprimono tale impegno e variegata collaborazione sono:

·        La Scuola di Teologia per Laici, che da 25 anni porta avanti tematiche sia di ordine teoretico che più specificamente legate al vissuto quotidiano e che toccano non solo l’ordine del pensiero ma anche degli affetti. Il logos nella sua affezione per la libertà e la sua passione per la verità.

·        Il Centro Culturale Talamoni, che da 34 anni è presente in Città con proposte libere e rivolte a tutti ed animate dalla testimonianza di persone alla ricerca sincera della verità.

·        L’esperienza secolare della ProCultura presso il Centro del Carrobiolo dei padri Barnabiti, dove da un decennio ha preso vita una rassegna di filosofia e dove con il Cineforum vengono create occasioni di confronto e dibattito sui grandi temi dell’uomo, della fede, della verità.

·        Da alcuni anni è attivo il Centro Culturale Benedetto XVI che propone attività di sviluppo culturale ispirate al Magistero, al pensiero scientifico e al carisma educativo di papa Benedetto.

·        L’esperienza dei padri dehoniani, da sempre propositori di cultura biblica; gli incontri di fede e di cultura biblica presso il Convento francescano delle Grazie Vecchie e il Convento Santuario del Carmelo;

·        Il Museo del Duomo con la particolare attrattiva culturale e religiosa della rinnovata Cappella degli Zavattari.

·        L’attività della Compagnie Teatrali parrocchiali, numerose nel nostro decanato, sempre più impegnate in attività non solo di mero intrattenimento, ma di vera e propria animazione culturale, spesso a completamento della pastorale giovanile ordinaria.

·        E’ opportuno creare rapporti più stretti ed operativi con le diverse associazioni culturali “laiche” ed istituzioni pubbliche presenti sul territorio per meglio coordinare le molteplici proposte offerte ai cittadini, risparmiando così energie, fondi economici e superare una visione puramente competitiva

c.  Il settimanale Il Cittadino

Nonostante il momento difficile che la stampa sta attraversando, il decanato ritiene opportuno continuare a sostenere l’attività dello storico  settimanale cattolico “Il Cittadino” (giornale cartaceo + web), come strumento di comunicazione che può arrivare a tutti e raccontare tutta la vita, civile ed ecclesiale, dell’ambiente sociale in cui Monza e la Brianza si trovano a costruire la loro storia.

Purtroppo, per vari motivi (compreso quello delle difficoltà economiche peraltro comune a tutti i giornali e strumenti d’informazione) anche il nostro settimanale fa fatica a sostenere e compiere la sua funzione originaria. Due anni fa è stata chiusa la TV Telemonzabrianza che trasmetteva in Brianza in regime di quasi monopolio (ancora oggi sul territorio non esiste un’emittente locale). Anche la redazione è stata completamente rinnovata e contenuta nelle sue unità, per ridurre il deficit economico.

Vorremmo tentare, sempre accompagnati anche dalla fraterna “sorveglianza” dell’Ufficio Comunicazioni Sociali della Curia, di continuare questo servizio sociale e culturale per essere voce chiamata a dare anima alla verità, dare voce a chi spesso non ha voce, rendendo protagonisti anche coloro che sono ai margini, coinvolgendo la comunità cristiana e i giovani in particolare e rendere anche questo strumento luogo di confronto e di dialogo.

 

3E.  La riforma del Clero

a. Il punto di riferimento del clero decanale rimane la Regola di vita elaborata nell’anno 2009/10. La costituzione delle CP ha interrogato il clero circa l’opportunità di mantenere il decanato come riferimento della fraternità presbiterale. Il clero della comunità di Brugherio ha di fatto deciso di partecipare solo ai momenti di formazione spirituale, mentre i sacerdoti delle altre parrocchie e comunità ribadiscono la scelta di considerare il decanato come il luogo della formazione permanente e del discernimento pastorale dei presbiteri. Gli incontri mensili sono frequentati da un numero discreto di sacerdoti, mentre si vorrebbe dare maggiore spazio a momenti di comunicazione nella fede. Emerge qualche fatica nel coltivare scelte pastorali di respiro cittadino e decanale. Rimane per ora disattesa la scelta che ad ogni sacerdote venga attribuito un incarico decanale, mentre andrebbero accolti con maggiore disponibilità gli inviti a momenti di fraternità.

b. Siamo grati al Signore per la presenza di alcuni diaconi nel nostro decanato. A noi preti è richiesta una maggiore attenzione nei loro confronti per un più esplicito loro coinvolgimento nella pastorale decanale.

c. E’ urgente progettare e creare concrete collaborazioni con i confratelli religiosi e i diversi istituti religiosi femminili presenti in modo significativo e storicamente determinate in Decanato. In particolare ringraziamo le 6 comunità religiose maschili (di cui 5 con la Chiesa aperta ai fedeli) presenti in Monza: domandiamo e offriamo loro una più intensa collaborazione pastorale e fraternità spirituale.

·        Gli aspetti positivi,che gli stessi istituti evidenziano, si possono così riassumere: chiaro progetto apostolico comunitario, buona intesa e collaborazione con la chiesa locale, significativa presenza nell’ambito scolastico e di animazione pastorale e caritativa.

·        Le problematiche che emergono riguardano l’invecchiamento (123 suore non sono in attività) e la penuria vocazionale che non consentono il ricambio del personale e obbligano al ripensamento del progetto comunitario.

·        Il futuro chiede alcune attenzioni:

-         Prendere a cuore ed attivare percorsi di sensibilizzazione e di accompagnamento vocazionale non solo per le giovani generazioni

-         Riconfermarsi nel valore testimoniale della vita religiosa anche nel contesto attuale segnato dalla precarietà;

-         Un attento discernimento sul momento storico in atto, che permetta di capire come stare sul territorio, anche con modalità nuove.

-         Un rinnovato e costante confronto con la Chiesa locale per rafforzare la collaborazione rapportata ai bisogni e alle forze disponibili;

-         Valorizzare il carisma degli Istituti accentuando la valenza della testimonianza comunitaria e individuale, mantenendo la spinta apostolica adeguata alle reali possibilità;

·        Si evidenziano poi 2 interrogativi:

-  Come progettare il futuro che si presenta all’insegna della precarietà per molteplici aspetti (età, salute, vocazioni, secolarizzazione…)?

-  Come assicurare un futuro alle istituzioni scolastiche(dalla scuola dell’infanzia alle superiori), gestite da religiosi, che da molti decenni hanno segnato la loro presenza sul territorio, affrontando le crescenti difficoltà economiche e gestionali?

 

Conclusione

·        Ci pare di essere un Decanato con molte potenzialità e ricchezze nel campo caritativo, di volontariato, culturale ed educativo, cercando di attuare la logica della pluriformità nell’unità.

In questo cammino dobbiamo crescere nella ricerca di una vera comunione, capace di superare i piccoli interessi di gruppi e il desiderio di apparire più efficaci ed apprezzati. Potremmo dire che cerchiamo di andare verso un’unità autentica, ma siamo ancora un po’ preda di una “plurifomità un po’ gelosa” e spesso ancorata in modo eccessivo alla tradizione.

·        Consapevoli che tutti i battezzati sono chiamati ad essere testimoni nel mondo di Cristo Risorto e corresponsabili nella edificazione della Chiesa, diventa urgente favorire una presenza sempre più attiva di tutti i fedeli laici nella vita e nella conduzione delle nostre comunità. A tal fine sono significative sia le sollecitazioni del nostro Vescovo, che ha indicato nuove figure giuridiche che possono dare continuità e stabilità alla presenza dei laici nelle strutture pastorali, sia le concrete applicazioni a livello locale, aperte a prefigurare nuove forme di ministerialità laicale che valorizzino i numerosi e differenti carismi di cui ogni comunità cristiana è ricca.

·        Anche la nuova stagione delle Comunità pastorali sembra offrire qualche impulso originale alla presenza dei laici nella Chiesa, facendo sempre memoria che il compatrono San Gerardo era un laico. Monza ha sempre offerto a tanti laici di potersi alimentare della spiritualità e dello stile di vita cristiana. Accanto a tanti aspetti positivi che emergono da tale molteplicità di proposte può essere sorta anche una specie di clericalismo che fa fatica ad essere superato. Ci auguriamo che anche la struttura delle CP e la gestione affidata ai laici di diversi oratori, scuole cattoliche e altri ambiti di servizio possano aiutarci in questa prospettiva.

Contemplando questa immagine di Chiesa e di città, di storia e di tradizione ecclesiale, di uomini e donne che cercano di essere protagonisti e umili lavoratori della vigna del Signore, in questo tempo di cambiamento, ci prepariamo a vivere la Visita Pastorale con un triplice atteggiamento.

Innanzitutto diciamo grazie a Dio per i suoi abbondanti doni di grazia che hanno animato ed animano la mente ed i cuori dei suoi figli che abitano questa porzione di Chiesa ambrosiana.

Esprimiamo viva riconoscenza verso chi ha seminato il grano buono del Vangelo in questa terra ricca di tradizioni, vocazioni, esperienze di volontariato e di particolare attenzione alla dignità delle persone, educate a custodire e tramandare tanti segni di cultura evangelica e di vita ecclesiale.   

Emerge in noi una condivisa coscienza e responsabilità nel compito che ci è affidato di non disperdere ciò che abbiamo ricevuto in dono, ma di coltivarlo con fantasia, sapienza, generosa carità e con rinnovata ospitalità ai nostri figli perché anch’essi possano gustare la gioia della gratitudine, della riconoscenza e della responsabilità di saper bene accogliere i doni di Dio e dei fratelli e sapientemente trafficarli nell’oggi di Dio e della storia. 

 

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CARD. ANGELO SCOLA 

Testimonianza è conoscenza della verità

Visita pastorale decanato di Monza | Teatro Manzoni | 29 novembre 2016

 

Buonasera a tutti e grazie per la scelta che avete compiuto, in un giorno feriale, dopo una giornata di lavoro e l’altra che vi attende domani, di trovare del tempo per incontrare l’Arcivescovo in occasione della Visita Pastorale, come ci ha ben ricordato don Silvano che ringrazio, e lo ringrazio assieme al Vicario episcopale e a tutti i sacerdoti e a tutti i Consigli pastorali, le religiose, i religiosi che stanno lavorando secondo le indicazioni date per questa Visita Pastorale feriale,  così che il sacrificio di questa sera possa dare frutto, possa essere una semina il cui germoglio si vedrà nel tempo più o meno lungo,perché è il Signore che è il Signore del tempo. Ma noi sappiamo che il Signore è fedele e quindi, se ci disponiamo ad un ascolto profondo, Egli sicuramente verrà al nostro soccorso col Suo abbraccio di misericordia ,come ci è stato richiamato dai ragazzi che hanno cantato.
Mi ha molto colpito nella preghiera che abbiamo recitato all’inizio che voi abbiate colto l’aspetto decisivo di questo incontro. I cristiani non fanno riunioni perché non sono un’azienda, un partito, un sindacato, e quindi non vogliono conquistare nessuno. Vogliono proporre la bellezza della loro esperienza. Ecco perché, come voi avete scritto nella preghiera e come io preferisco, avete definito questo incontro come una “assemblea ecclesiale”, che prolunga l’assemblea eucaristica. Questo è molto importante. Quando noi cristiani ci troviamo, non dovremmo mai dimenticare questo dato, perché allora i tre momenti in cui si articola l’Eucaristia diventano anche la forma, la configurazione del nostro trovarci, qualunque sia l’argomento di cui siamo chiamati a parlare, dalla sistemazione dell’Oratorio piuttosto che dal senso della carità piuttosto che dall’importanza della cultura ecc. E i tre momenti della Messa sono molto chiari.  Il primo è il Confiteor, è la domanda di perdono. Cosa trovare di più bello per dirne il significato che la Lettera Apostolica che il Santo Padre ha scritto subito dopo, settimana scorsa, alla fine del Giubileo della Misericordia? L’ha intitolata con queste due parole: “Misericordia et misera”: sono le due parole che Sant’Agostino mette alla fine del commento dell’episodio della donna peccatrice. Il Vangelo dice che alla fine tutti se ne andarono e restò soltanto Gesù e la donna, e Sant’Agostino dice:”Restò la misericordia, cioè Gesù, e la misera, cioè la donna peccatrice”. Ebbene, tutte le volte che noi ci incontriamo, dovremmo veramente sentirci come quando siamo all’inizio della Santa Messa: sentirci come profondamente bisognosi di perdono da parte di Dio, invocare l’abbraccio della tenerezza del Padre che la potenza dello Spirito di Gesù risorto ci porta all’inizio della Messa. Questo è molto importante, perché determina il modo con cui noi partecipiamo ad un gesto straordinario come questo e a tutti i gesti ordinari che compiamo. Se siamo coscienti della nostra fragilità e del nostro peccato e se ne domandiamo perdono, cosa di cui abbiamo sempre bisogno, il nostro ascolto si fa compiuto! Non è un ascolto, come dire, travestito di pregiudizi, di gente che sa già, di persone che sono lì ad aspettare che l’altro dica una cosa che secondo loro non va bene , ma sarà un ascolto che ci feconda, che realmente fa crescere la nostra verità e la nostra libertà.
Il secondo momento della Messa articola questo ascolto nel fatto che Gesù nella Parola di Dio si rivolge a noi. Qui c’è una frase molto bella della Costituzione Pastorale sulla Liturgia del Concilio Vaticano II, al n. 7 della “Sacrosanctum  concilium”, dove si dice che quando la domenica leggiamo la Parola di Dio, “è Gesù che ti parla”, è Gesù che ti parla, “è Gesù che ci parla”. Noi celebriamo una presenza viva! Noi viviamo per la potenza dello Spirito che è tra noi questa sera! “Sopra di noi, tra di noi, in noi”. Viviamo realmente una capacità di apertura del cuore  a Gesù, dentro un rapporto personale, intensissimo.
E il terzo momento della Santa Messa è la partecipazione fisica, attraverso la Santa Comunione quando siamo in grazia di Dio nelle condizioni per riceverLa, al grande dono di sé che Gesù ha fatto, Lui che non aveva conosciuto peccato e si è lasciato trattare, come dice San Paolo, da peccato in nostro favore, per giustificarci, per redimerci. E attraverso quel gesto Gesù ci in-corpora a Sé, diventa il capo di un “corpo cosmico” dicevano i Padri, cioè che prende dentro tutto il cosmo, e di cui noi veniamo a far parte per puro dono! Per puro dono. Ma lì succede qualche cosa di straordinario, che sempre i Padri della Chiesa hanno messo in evidenza: che mentre quando noi mangiamo il cibo che prendiamo viene da noi assimilato e serve per il nostro metabolismo, per la nostra vita, quando mangiamo il corpo di Gesù è Gesù che ci assimila a Lui! Che ci fa entrare in comunione potente con Lui e ci fa vivere di Lui! Che ci spalanca il desiderio di compimento! Che ci fa affrontare anche le situazioni difficili della vita, difficili nelle ferite degli affetti, difficili nella fatica del lavoro che sta cambiando rapidamente e dei molti che non lo trovano, che non lo hanno, anche tra i nostri giovani; nelle vicende difficili legate persino al modo con cui cerchiamo di riposarci, che spesso ci stanca ancora di più anziché  equilibrare meglio gli affetti e il lavoro;  difficile provato nei momenti del dolore, del dolore fisico, delle malattie, della perdita dei nostri cari, del grande interrogativo sull’al di là che taluni di voi mi hanno posto anche per iscritto – tra parentesi dico che quelli che mi hanno mandato degli e-mail riceveranno una risposta da parte mia ,con un po’ di pazienza, per e-mail, quindi una risposta personalizzata -. Non possiamo riproporre qui le domande, perché qui le domande sono l’esito del lavoro di tutte le comunità, di tutti i Consigli pastorali. Quindi anche nei momenti di prova, come dice San Paolo con una affermazione assolutamente paradossale quando dice: “Nel dolore, lieti”. Chi ha un senso della vita per cui può dire una cosa del genere? Chi, mentre è straziato nell’anima e nel corpo, sente una pace ultima, di fondo, perché nulla va perduto e tutto, compresa la morte “concorre al bene di coloro che amano Dio”! 
Ecco allora. l’Assemblea ecclesiale ripropone questo impianto che è l’impianto dell’assemblea per eccellenza dei cristiani, l’Eucaristia. Non vivessimo ogni domenica da 2.000 anni l’Eucaristia, forse non ci saremmo neanche più. Salvo l’indefettibilità della Chiesa promessaci da Gesù e garantita dallo Spirito Santo.
Allora questo è lo stile con cui dobbiamo vivere questo gesto. 
Che cos’è questo gesto?  Ha due scopi, due finalità: una di carattere generale e l’altra legata al cammino della nostra Chiesa. Quella di carattere generale è descritta nel cosiddetto Direttorio dei vescovi. Quando uno diventa vescovo, viene ricevuto dal Papa, poi deve passare dalla Congregazione dei vescovi e lì gli fanno fare una serie di giuramenti, di impegni giustamente, e alla fine gli mettono in mano un libro abbastanza consistente su cui c’è scritto “Direttorio del vescovo”. Sono date alcune indicazioni su taluni aspetti fondamentali della sua azione pastorale, che non può essere a capriccio: deve essere incarnata, quindi si in-cultura come si dice oggi e tuttavia deve proporre l’avvenimento di Gesù, questo è il suo scopo. E lì la Visita Pastorale è definita così. Lo scopo, - noi lo abbiamo assimilato perché voi sapete che l’obbligo della Visita Pastorale è stato introdotto dal Concilio di Trento ed ha avuto il suo primo grande realizzatore nel nostro San Carlo, il quale ha percorso in lungo e in largo tutta la Diocesi nella sua estensione, è andato persino tre volte nelle grandi valli sopra il Canton Ticino, una volta è sceso addirittura fino a Einsiedeln a incontrare i monaci dell’abazia -, lo scopo generale   della Visita Pastorale è  di essere “ una espressione privilegiata dell’Arcivescovo che si rende presente assieme ai suoi collaboratori – da noi questo è evidentemente ipernecessario - per esercitare la propria responsabilità nel convocare – ecco, quello che abbiamo fatto stasera -, nel guidare, nell’incoraggiare  – e poi la parola che mi piace di più – e nel consolare il popolo santo di Dio che gli è stato affidato.” Questo è lo scopo generale di ogni Visita Pastorale e anche di questa nostra Visita Pastorale che abbiamo voluto “feriale”: cioè che abbiamo voluto  si inserisse con normalità nel nostro ritmo di vita.
Però c’è uno scopo specifico, relativo al cammino della nostra Chiesa ambrosiana: anche se siete di rito romano, fate parte della Chiesa ambrosiana. Lo scopo specifico viene da una grande intuizione che il beato Paolo VI  ebbe da giovane, nel ’32 o nel ’34 non mi ricordo più bene, in cui scrisse:  “la cultura – si riferiva all’Europa - ha già lasciato alle spalle Gesù”; nel ’32, quando noi eravamo delle “armate”, non come adesso!  Poi, venuto a Milano, colpito dall’inizio della secolarizzazione che cominciava a marcare la grande città, ha scelto di fare quella famosissima Visita Pastorale nella quale ha coinvolto più di 1.500 sacerdoti e religiosi ,che hanno visitato capillarmente tutte le realtà della metropoli, la missione di Milano. E lì partì da uno sviluppo, disse: “È come se fosse crollato il senso religioso della vita perché si è creata una frattura tra la fede e il quotidiano, e la vita stessa” Questo è lo scopo specifico della Visita Pastorale: cercare di ridurre questa frattura! È per questo che la Visita Pastorale si colloca in unità con la Lettera Pastorale su cui stiamo lavorando “Educarsi al pensiero e ai sentimenti di Cristo” i cui principali impegni abbiamo attualizzato quest’anno nell’opuscoletto “Maria speranza e aurore di salvezza per il mondo intero”. Perché abbiamo preso questa affermazione di Paolo relativa a “noi abbiamo il pensiero”, ma il greco dice un’altra cosa, “noi abbiamo la mentalità”, cioè il modo di pensare “di Gesù”, e vogliamo avere gli stessi Suoi sentimenti? Perché ci pare, è parso al Consiglio episcopale e poi a tutte le assemblee dei Decani e a Consiglio presbiterale, al Consiglio pastorale diocesano che il motivo di questa frattura è che siamo carenti nel pensare secondo Gesù! Che vuol dire pensare come Lui e soprattutto pensare Lui attraverso tutte le cose quotidiane. Gesù è venuto, ci dice Sant’Agostino commentando il Vangelo, per essere “via alla verità e alla vita”, per accompagnarci nel quotidiano! Allora, se quando noi usciamo di Chiesa ci dimentichiamo di questo, ragioniamo come ragionano tutti! Come ragiona  il cosiddetto “pensiero dominante”. E quando ci capita qualcosa di bello o di non bello in casa, in famiglia, non ci riferiamo  come il Vangelo può sostenere la nostra valutazione di questi tipi di problemi, e non preghiamo col cuore denso degli stessi sentimenti di Gesù perché il Padre sciolga i nodi che ci legano! Ecco, questo è lo scopo specifico della Visita Pastorale: educarsi alla mentalità e ai sentimenti di Cristo.
 
DOMANDA
Don Silvano: don Giuseppe Barzaghi è il nostro rappresentante del Consiglio presbiterale diocesano. E chi meglio di lui può rivolgere all’Arcivescovo una domanda sul tema delle Comunità pastorali e della Pastorale d’insieme?
don Giuseppe - Nel nostro Decanato sono state avviate diverse Comunità pastorali, ad esempio io sono qui dal 1 settembre del 2005, mandato – allora era Vicario episcopale l’attuale arciprete e quindi è un po’ benevolmente colpevole forse anche lui – a tenere insieme due Parrocchie, la Parrocchia di Regina Pacis e la Parrocchia di Santi Giacomo e Donato che sono divise dal canale Villoresi, che è una divisione abissale. Io sono stato mandato con questo compito. Poi non so se perché ho fatto il bravo o per altri motivi il 1 settembre del 2010 sono diventato anche, adesso si chiama, Responsabile della Comunità pastorale “Santi quattro Evangelisti”, quattro Evangelisti perché si tratta di 4 Parrocchie, Regina Pacis, Santi Giacomo e Donato, San Rocco e Sant’Alessandro. Superato  il Villoresi, abbiamo tentato anche, cosa più complessa, di superare anche il Lambro per unire le varie Parrocchie. Quindi, un po’ la mia storia, un po’ così, io ho insistito nel cammino di preparazione a questa Visita: «Beh, facciamo una domanda sulle Comunità pastorali!». Poi, avendo insistito, mi è toccato anche di dover dire e fare io la domanda. Immaginando dunque la Chiesa nel prossimo futuro - questa sarebbe la domanda - la risposta offerta dalle Comunità pastorali sembra facilitare l’urgente bisogno di Pastorale d’insieme che si avverte, Pastorale d’insieme da portare avanti in collaborazione tra i fedeli laici, preti, consacrati. In questi anni, tuttavia, sono emerse anche alcune criticità da non trascurare. Allora la domanda è un po’ questa: la nostra Diocesi come si sta muovendo? Quali punti fermi dobbiamo custodire e quali invece innovazioni dobbiamo favorire per edificare una Chiesa viva e missionaria qui nel nostro territorio? Grazie
 
Grazie, don Giuseppe.
Io parto proprio dall’affermazione finale. Lo scopo della Comunità pastorale, come lo scopo di ogni forma di realizzazione della Chiesa, è edificare una comunità vive e missionaria: su questo dobbiamo intenderci bene parlando delle Comunità pastorali. Perché se lo scopo profondo, da cui tutti gli altri aspetti intermedi dipendono, non è l’edificazione di una Chiesa viva, aperta a 360°, capace di attrattiva, - come disse Gesù ai due discepoli del Battista che Gli andarono dietro e Lui si voltò di colpo e disse: «Ma voi cosa volete?» «Maestro, dove abiti!» E il brano evangelico va avanti,  Lui disse «Venite e vedrete», stettero con Lui fino alle quattro del pomeriggio, e dopo non L’hanno mollato più, perché hanno trovato una presenza viva e aperta! -, quindi questa è la ragione che io, ma anche tutta la realtà del Consiglio episcopale ormai della nostra Chiesa….  Oggi abbiamo fatto il Consiglio presbiterale, sabato e domenica il Consiglio pastorale, questi temi ritornano sempre e coinvolgono un Consiglio pastorale, circa 130 rappresentanti delle nostre realtà , e il Consiglio presbiterale , 75 sacerdoti e religiosi votati, scelti dai preti, da tutta la Diocesi con dei criteri precisi. Io vedo che rispetto all’inizio, quando sono arrivato cinque anni e mezzo fa, l’idea che la Comunità pastorale possa lentamente, ci vorranno ancora 15 o 20 anni, lentamente diventare la nuova forma del particolare  rizzarsi  della Chiesa, perché la Chiesa, come dire, è la casa del Signore tra le case! Allora il nuovo modo di raggiungere ognuno di noi il più possibile da vicino sta proprio, secondo me, nella edificazione di una Chiesa viva e missionaria.
Una Chiesa viva e missionaria si capisce da questo: che è una Chiesa che lascia trasparire sul suo volto, sul volto di tutte le nostre comunità - come ho visto adesso dai sette, otto chierichetti che mi hanno aspettato per salutarmi e regalarmi dei disegni, ho visto la gioia dell’incontro con il vescovo, non perché sono io ma perché hanno già percepito l’importanza della figura dell’Arcivescovo nella loro vita -, ecco, una Chiesa viva e missionaria è una Chiesa che lascia trasparire sul volto di ciascun cristiano Gesù come la “luce” delle genti. Questo dice il Concilio nella grande Costituzione sulla Chiesa, Lumen gentium cum sit Christus: se Cristo è la  luce delle genti, allora la Chiesa è il segno, è lo strumento perché questa luce dilaghi nel mondo! E illumini ogni angolo del mondo! Allora io sono fermamente convinto che questa scelta che è stata fatta dal mio predecessore e che è stata assunta lentamente da tutti voi a qualunque stato di vita apparteniate, è una scelta profetica, che va incontro al grande cambiamento di epoca che sta provando in modo particolare le Chiese europee, Europa che è stata definita da un filosofo singolare,  ”un’Europa stanca”: un’Europa stanca, proprio perché ha perso la vivezza, la vivacità,  ha perso l’energia della comunicazione, della missione.
Allora è evidente che il punto fermo, come chiedeva don Giuseppe, e lo ringrazio molto, è questo qui. Non facciamo la Comunità pastorale perché i preti si sono ridotti! Questa è un’idea che circola, ma è sbagliata; non è questo il motivo profondo della scelta. Certo, potrà supplire un po’ anche a questo bisogno! Quest’anno, a tutt’oggi ne sono morti 56 di sacerdoti e ,se tutto va bene, a giugno ne ordineremo 10. Quasi 600 sacerdoti dei 1.880 diocesani, non religiosi, hanno più di 75 anni, quindi è un problema anche questo.  Se però avessimo fatto la nostra scelta per questo motivo, sarebbe un motivo troppo riduttivo: alla carenza di  sacerdoti si deve supplire attraverso l’impegno di ogni soggetto fedele. Voi non siete i clienti della Chiesa! Voi siete soggetti di Chiesa! Quindi il punto fermo su cui la Comunità pastorale deve crescere e maturare è questo: è che sia una Chiesa viva e missionaria.
Questo comporta, nel fatto dell’unificazione di più Parrocchie , che però mantengono per certi aspetti la loro consistenza, persino la loro identità oltre che ecclesiale anche civile, che sorgano problemi, difficoltà. Chissà quante volte anche voi avrete sentito come me: «Ma noi qui abbiamo sempre fatto così! Adesso!» e io dico sempre: «Questo è un buon motivo per cambiare qualche volta!» Se abbiamo sempre fatto così, proviamo a cambiare, visto che non siamo proprio nelle migliori acque di questo mondo, come presenze ecclesiali! Allora, dalla fatica dell’unità, dal sacrificio dell’unità, dalla capacità di ascolto, di fecondazione che l’unità domanda, dalla stima previa che la comunione tra i cristiani chiede nei confronti di chiunque, noi, affrontando la necessità di cambiare talune forme espressive, chiedere un pochino più di mobilità , di fatto incontriamo o realizziamo le cose; quali cose debbono essere lasciate cadere, non fatte cadere, però! Mai, mai spegnere il lucignolo fumigante! Ho visto in talune Parrocchie tre o quattro membri della Confraternita del Santissimo Sacramento, tutti dalla mia età in su, che non è poco,  però ho visto in altre Parrocchie un gruppo di Confraternite del Sacramento di 30, 40 anni, una trentina, una quarantina, cioè noi non dobbiamo spegnere niente! Però dobbiamo lasciare andare le cose ,così come la storia indica che debbono essere lasciate andare. Perciò, se una cosa che tutti insieme con grande attenzione, con rispetto verso tutti, va a finire, vuol dire che non faceva parte, non fa più parte della Tradizione in senso forte, non favorisce la Chiesa che lascia trasparire il volto di Gesù, ma piuttosto la blocca. Ci può essere anche una quantità di attività che magari sono affaticate, che noi trattiamo con grande rispetto, ma che, per finire, imbrigliano e bloccano la comunità! Quindi, il punto fermo: Chiesa viva e missionaria. E le criticità lasciarle sciogliere nella storia, lentamente. E certo, è chiaro che per fare un’impresa così bisogna anche essere disponibili a sacrificare qualche volta la propria opinione, a fare talune rinunce, a muoversi un po’ di più. In una società mobilissima la nostra, ci si muove per tutto: sembra che muoversi di due chilometri per andare a Messa sia la fine del mondo! È chiaro che questo non va bene per gli anziani, ma mi pare ch i nostri sacerdoti siano molo attenti, soprattutto sulla questione della Messa, ad equilibrare il tutto.
Quindi, direi queste due cose a don Giuseppe. Spero di essere stato chiaro.
 
DOMANDA
Don Silvano: Ora entriamo in un ambito più sociale, più legato alla società, ma che ci sta a cuore come Chiesa, l’aspetto educativo, quindi il mondo della scuola.  Un insegnante di religione cattolica, che ormai da diversi anni sperimenta questa vocazione e questo impegno, farà la domanda all’Arcivescovo.
Mi chiamo Paolo. Insegno al Liceo classico e prima ho insegnato al Liceo artistico, ma insieme a tanti altri condivido l’esperienza della scuola. Monza è una città conosciuta per il lavoro, la Brianza pure anche, eppure molti si stupiscono quando scoprono che il rapporto che c’è tra le nostre scuole e la popolazione è uno dei più alti d’Italia. Solo per citare questa città, in questa città ci sono 90 scuole e siamo 123.000, 125.000 persone. È una suggestione che dice: lavoro e educazione, lavoro e formazione, sono nella testa dei nostri padri e dei nostri bisnonni da moltissimo tempo; avevano capito fin dall’inizio che non si poteva pensare a essere una società florida e sana senza pensare a formarsi. Solo questa suggestione prima della domanda, perché dice probabilmente di una storia molto lunga, che è e cristiana e laica nello stesso tempo. Allora la domanda, o, se vuole, la domanda fatta a pezzettini potrebbe essere questa: in un contesto così, dove quindi società, famiglie, Chiesa sono state attente anche alla formazione, che cosa occorre fare o che cosa occorre essere per proseguire o stabilire buoni rapporti tra Chiesa e istituzioni educative in genere e in particolare scuola? Detto in un modo diverso. La Chiesa ha attenzione alla formazione integrale della persona; la scuola ha un’attenzione, forse un po’ più contenuta, a una trasmissione culturale, allo stimolo ad una crescita da parte dei bambini, dei giovani perché raggiungano la loro autonomia, alla preparazione ad una competenza professionale; in questo senso si incontrano, c’è un’attesa di formazione complessiva e non singola. Allora potrei dire in modo diverso: quali prassi è bene sottolineare? Quali delle cose buone che già facciamo insieme, Chiesa e scuola, possono essere sottolineate, e quali nuove? 
E l’ultimo pezzettino della domanda, lei ha citato San Carlo e credo che a tanti di noi abbia fatto piacere, riguarda la sua attività. Lei è vescovo, e quindi o gira il mondo della nostra Diocesi o c’ha il mondo della nostra Diocesi che viene a trovarla, e quindi incontra carismi, intelligenze, applicazioni che molto spesso possono essere re-distribuite, come dire ri-regalate anche a chi sta in un altro luogo e non ha pensato a quello. Ecco, anche in base alla sua esperienza pastorale, c’è qualche suggerimento che lei ci può dare in merito a cose che altri, in altri luoghi, i carismi hanno generato? Grazie
 
Grazie. Ringrazio molto Paolo: attraverso lui  ringrazio ovviamente tutti voi e tutti quelli che hanno contribuito a prepararlo. Perché lo ringrazio? Per il fatto che, oltre all’importante dato che mi ha offerto - che avevo già visto dalle relazioni molto articolate e approfondite che ogni Comunità pastorale, ogni Parrocchia mi ha mandato e che poi don Silvano, probabilmente con qualche altro, ha avuto la bontà di sintetizzare per me -, lui mi ha detto: “Ha qualche suggerimento?”, perché questo mi consente di precisare che un’assemblea come la nostra, pur ognuno con la sua responsabilità ecclesiale e civile, ci vede tutti alla pari, io non ho ricette da distribuire. Non ho istruzioni per l’uso da dare. Io reagisco, nel senso nobile della parola, re-agisco, per come son capace. Quindi dirò qualche spunto, poi dopo mi auguro che voi dopo ritorniate sopra  questo.
Io partirei da una frase che Paolo ha detto e che per me è molto importante. La chiesa è per sua natura un soggetto educativo: per sua natura! In ogni forma di espressione. San Giovanni riprende una frase del profeta e dice: “Saranno sempre educabili da Dio”. Noi siamo sempre educabili da Dio! Non c’è circostanza, a 2 anni piuttosto che a 75 come ne ho io, che non sia un modo con cui Dio mi chiama – vocazione, la vita come tale è vocazione -, mi chiama a rispondere. È molto bello che nella nostra Liturgia ci sia sempre, in certe occasioni, in certe feste, il “responsorio”: cioè, la nostra vita è risposta, la nostra vita è responsoriale, come impianto, come struttura. Allora lui ha detto ad un certo punto che “a partire dalla tradizione della fede la Chiesa, il fine della Chiesa è la formazione dell’essere umano nella sua integralità e si sforza di mantenere in una condizione di riconoscimento della propria condizione di figlio amato e desiderato dal suo Creatore ogni fedele”. Questo è il punto di partenza: l’educazione o è integrale o non è educazione! Perché l’educazione sia integrale deve mettere in relazione la mia persona, tutta la mia persona, tutte le esigenze, le necessità, i desideri profondi, quelli ontologici non i capricci, tutta la mia persona con tutta la realtà, a 360°. Ecco l’importanza della mentalità di Cristo, dei pensieri di Cristo! Ovviamente nel rispetto dei diversi gradi di importanza della realtà stessa. Allora, come fa un soggetto ecclesiale a non essere appassionato dell’educazione fin nella sua forma di trasmissione dei saperi che è la scuola? È impossibile! Saremmo assolutamente astratti! Certo, la scuola concepita in un certo modo è venuta molti anni prima di Cristo, anche se era un fenomeno delle iper élites di una società. Noi abbiamo, la Chiesa ha contribuito a rendere sempre più popolare la scuola, a voler educare tutti e ciascuno nel rispetto del diritto che è della persona umana così come lo abbiamo riconosciuto in pienezza, soprattutto a partire dalla modernità. E quindi anche io sono rimasto molto colpito, leggendo le vostre relazioni, dalla quantità di scuole di varia natura: scuole pubbliche statali, scuole paritarie, scuole che non sono paritarie tuttavia sono sempre pubbliche, perché non esiste una scuola che non sia pubblica. Come si fa a concepire una scuola che non sia pubblica? Non si può trasferire uno statuto giuridico alla sostanza. Chi educa un gruppo di giovani o di persone fa un’azione sociale pubblica. 
Allora io direi che bisogna coniugare due aspetti del problema. Il primo aspetto è che a educare è l’adulto - genitori, professori, di varia natura, di vario tipo -, e l’adulto educatore deve avere sempre in faccia tutta la realtà e il giovane che deve accompagnare, deve introdurre alla realtà, rispettandone profondamente la libertà e correndo il rischio di proporre la sua interpretazione della realtà e della vita ai ragazzi che si trova davanti. Perché nella grande tradizione della Chiesa sono nate le Università, sono venute le scuole? Perché per il fatto stesso che il Vangelo ti dice chi sei, che tipo di uomo sei, fa cultura, e quindi domanda educazione! Perché se io, come una delle domande che mi è stata rivolta per iscritto mi ha detto, se io credo che rivedrò tra non troppi anni, se mi va bene, mio padre e mia madre e mio fratello che è morto giovane in un incidente stradale, se io credo in questo, se io credo nel Paradiso come il luogo delle relazioni permanenti con la Trinità e con tutti i nostri cari, evidentemente, quando comunico il senso della vita a un ragazzo attraverso la filosofia o il latino o istruendolo in matematica, questa cosa ha un peso, mi spiego? Se io credo questo, questa cosa ha un peso! Come ha un peso sul modo con cui concepisco l’uso dei soldi, sul modo con cui voglio possedere o non possedere gli affetti! E così via. Quindi il problema n. 1 è l’integralità tra gli educatori e gli educandi, nel rapporto tra educatori ed educandi, attraverso un coinvolgimento reciproco, profondo. E’ vero che, per esempio, oggi vanno molto di moda quelle che una volta si chiamavano le “scienze dure”, che hanno trovato nell’aritmetica e in particolare ai nostri giorni in quella cosa per me astrusa che è l’algoritmo il punto di riferimento, però non è vero che 2 + 2 fa sempre 4: questo c’è senz’altro, ma non è vero che il modo con cui insegno che 2 + 2 fa 4 è lo stesso per tutti gli insegnanti, non è vero! Tant’è vero che ci sono degli insegnanti che ti accendono il cuore e ti fanno capire la bellezza della matematica e altri che non riescono a farti capire niente: ti appiccicano sulla lingua quel minimo che serve per far passare l’esame, ma poi la passione per la matematica non te la sanno comunicare! Una volta si diceva “perché è difficile”, invece adesso si è capito bene che è una questione pedagogica. Allora, apertura integrale nella comunicazione dei saperi. Se c’è, perché tutto è fatto dal soggetto, personale e comunitario! Io comunico ciò che sono! Io non posso dare a te ciò che non ho! Allora questo è il punto n. 1.
Da qui nasce il rapporto, diciamo il circolo virtuoso necessario, tra le diverse istituzioni. Ma il circolo tra le istituzioni deve essere subordinato a questa iniziativa del soggetto, che è simile ai primi sorrisi della mamma per il bambino! Quel sorriso lì è tutto! Perché è come se la mamma ,sorridendogli, gli dicesse «È bello che tu sei qui! È bene che tu sei! Tu sei il mio bene, tu sei un bene!» Questa cosa qui, trasferita nel modo adeguato, deve valere tra docente e studente, tra il corpo dei docenti e il corpo degli studenti. I medioevali dicevano che l’Università è una comunità di docenti e di studenti! E il peso che avevano gli studenti allora era di gran lunga superiore a quello che hanno adesso, anche se sembrano mille volte più liberi e se hanno milioni di possibilità personali e comunitarie in più.
 Allora risponderei: prima di tutto ringrazio tutti quelli tra voi che sono seriamente coinvolti nei vari tipi di scuola di cui avete parlato. Da questo punto di vista spezzo una lancia  per la scuola paritaria, la scuola cattolica, senza in nulla disistimare la scuola di Stato; voi avete il celebre Zucchi; quando io frequentavo, tanti anni fa, il Manzoni di Lecco, lì c’erano due o tre docenti , che venivano dallo Zucchi e che mi parlavano sempre dello Zucchi come se fosse chissà che cosa ; quindi evidentemente è un liceo glorioso, se è rimasto tale dopo tanti decenni, dopo tanti anni. Però io voglio spezzare una lancia, perché? Perché ciò che mi permette di entrare in dialogo col ragazzo è una visione di vita, è un senso della vita! Se per me il senso della vita è Gesù che è morto e risorto per salvarmi, questo non può…, senza annullare la specificità dei saperi, senza annullare l’apertura a tutti a 360°; in una scuola paritaria che non nasconde il suo volto cristiano, in una scuola che non nasconde il suo volto cristiano possono entrare tutti, basta che rispettino un minimo di fisionomia, di ordine, questo è necessario in ogni istituzione educativa. Quel che io ho visto dalle vostre relazioni mi ha veramente impressionato. Allora io dico: fate ogni sforzo! Piuttosto andiamo in giro con i pantaloni rattoppati ma non molliamo sull’educazione dei ragazzi. Se l’Europa potrà uscire dall’essere una società della stanchezza, sarà per l’educazione.  Che non è riducibile alla trasmissione dei saperi! Deve passare attraverso la trasmissione dei saperi! Come la diagnosi del medico non è riducibile solo alla sua intuizione: deve passare attraverso degli esami clinici oggettivi, ci mancherebbe altro! Però io non posso crescere, se non vivo un principio unitario attraverso il quale assimilo tutte le cose! Come quando si era ragazzi e si studiava:  si ripeteva a voce alta , come se dialogando con un altro io potessi assimilare meglio la materia insegnata. Ma dopo che è passata quasi del tutto una vita, uno si rende conto della bellezza e del fascino di aver incontrato un punto sintetico che gli permette di trattenere certe cose, di lasciarne cadere altre, di vedere la bellezza di una proposta, di un’opera d’arte: per esempio, visitare il vostro Duomo, la Corona Ferrea ecc., la Cappella e anche l’altare nuovo, conoscere anche questo, che sono venuto a consacrare. Allora, se questo è chiaro in ogni educatore – ogni educatore,uno può essere agnostico ecc., purché sia serio - allora dopo scattano le virtuose circolarità e convergenze tra le diverse istituzioni. E noi, proprio perché siamo un fattore educativo per eccellenza, dobbiamo cercare il più possibile queste convergenze e queste relazioni. Il più possibile! Con franchezza, con parresia, cioè con chiarezza, con libertà, senza cercare terreni neutri di compromesso, però concependo in maniera dinamica la nostra fisionomia cristiana, non in maniera statica! Questo è il problema che abbiamo a livello più generale, vale per tutte le nostre Parrocchie. È finita la pastorale del campanile, del puro campanile. Cioè la Parrocchia non è il luogo da cui tutto deve nascere, salvo i fondamenti, come l’Eucaristia, ma è il luogo in cui tutto deve tornare! Ma una grande libertà educativa! Ecco il discorso introdotto da Paolo sui carismi, che poi possono dar luogo anche a delle opere, però con una precisazione, che ogni realtà ecclesiale è nello stesso tempo carismatica e gerarchica. Mi spiego? L’istituzione, quella che noi chiamiamo l’istituzione, c’è dappertutto: in ogni realtà di associazione, di aggregazione, di gruppo, di movimento, c’è il carisma che è un dono che lo rende persuasivo alla mia fede, ma c’è anche l’istituzione, lo scheletro della questione, l’autorità collegiale, sinodale che la regge. Ecco, così vale per tutte le realtà a partire dalla Parrocchia. Però tutti noi percepiamo con grande chiarezza che, se noi concepiamo la Parrocchia come fino al termine degli anni ’60, non siamo più una comunità viva e missionaria! E il mondo della scuola! L’Oratorio è una cosa straordinaria, è un fattore educativo che mantiene una grandissima attualità, si tratta casomai di ripensare il modo con cui noi proponiamo la nostra educazione; ma è evidente che il condizionamento, nel senso letterale della parola, del ragazzo, che il ragazzo incontra nel mondo della scuola è, come dire, è formidabile! Perché lì ci sta tutti i giorni! Lì respira la mentalità, i giudizi, il pensiero più o meno dominante o convincente. Quindi, non possiamo non aprirci! Per questo dicevo anche oggi ai sacerdoti giovani, ma anche a quelli non più giovani, che insegnare è molto importante. Molto importante, perché si conoscono i ragazzi come sono! E questo facilita la relazione, per esempio tra l’Oratorio, la Chiesa, la Parrocchia, il Decanato e gli ambienti! Questo vale per l’Università, vale per il mondo del lavoro, vale per tutti i mondi.
 
DOMANDA
Don Silvano: Siamo alla terza domanda, la domanda centrale. Abbiamo voluto riservarla ai giovani. Don Luca si è trovato con un gruppo di giovani che, penso, hanno partecipato all’esperienza della GMG e sono tornati entusiasti e col desiderio di animare la pastorale giovanile locale. È una studentessa in Legge, non mi ricordo più come si chiama, ma…
Maria Gioia. Carissimo Cardinale, Papa Francesco ci disse al Campus Misericordiae: “Il tempo che oggi stiamo vivendo non ha bisogno di giovani – divano, ma di giovani con le scarpe, meglio ancora con gli scarponcini calzati”. Come possiamo noi giovani, con le nostre incertezze e fragilità, essere davvero “giovani da scarponi” agli occhi delle nostre comunità e soprattutto ai nostri stessi occhi? Perché nei giovani attirano di più proposte di puro volontariato, servizio e aiuto, rispetto ad altrettante proposte accompagnate invece da un cammino di fede?  
 
Due cose molto, molto, molto importanti e profonde, che valgono per tutti e non soltanto per i giovani, lei ha detto: come possiamo, con le nostre incertezze, fragilità, essere agli occhi delle nostre comunità, “giovani con gli scarponi”, soprattutto ai nostri stessi occhi. Questo è il primo punto, questo è il primo punto. Se non sei convinto tu, se non sei tu che vedi la bellezza perché la pratichi, perchè la senti sulla tua pelle, perché il tuo sguardo o il modo con cui accogli lo sguardo del ragazzo che si innamora di te è, come dire, è come se facesse crescere un desiderio di bellezza, di bontà, di verità! Il modo con cui tu aiuti i tuoi compagni a scuola, il modo con cui condividi una fatica, un dolore, una sofferenza, il modo con cui gioisci, il modo con cui cerchi la strada per un riposo adeguato, il modo con cui studi. Cioè, se tutto questo non è attraversato dal senso del vivere, che per noi è Cristo, se non è bello ai tuoi stessi occhi, tutto è già finito. Tutto già di spegne. Tutto già si spegne. Allora, essere “giovani da scarponi” significa riconoscere che se siete qui a cantare e se siete tornati dalla GMG entusiasti, vuol dire che avete ricevuto un dono! Uno non diventa da sé bello ai proprio occhi! Uno ha bisogno che l’altro gli dica «Sei bello! Sei bene!». Allora, dov’è, chi è questo altro? È la comunità cristiana. Vedervi cantare prima o vedere quei  piccolini che ho visto lì arrivando è come riconoscere che avete capito la sostanza della questione umana, che è “l’essere con”, che è “il peso dell’altro” nella tua vita! Che per poter dire “io” fino in fondo ho bisogno di un “tu”! Lo stesso Gesù ha avuto bisogno del “tu” di Maria, della mamma che lo ha destato, come ognuno di noi! Si è incarnato! Certo, Lui aveva anche una autocoscienza diretta, ma questa sarebbe una questione un po’ complessa da trattare in pochi minuti. Quindi questo è il primo elemento decisivo che Maria Gioia ha detto: “bello ai miei occhi”, io devo essere bello ai miei occhi. Ma per essere bello ai miei occhi devo riconoscere, appassionarmi al luogo e ai volti degli altri che  mi hanno fatto scoprire questa bellezza! Se no faccio il narciso! Era bellissimo, ma è annegato dentro! La presunzione di considerare la sua immagine come un altro! Quindi questo è fondamentale: persona e comunità. Persona e comunità. Una comunità che non fa fiorire la persona: c’è qualcosa che non va; una persona che non riconosce la necessità dell’appartenenza per tutta la vita a forme diverse di comunità cristiana, manca a se stesso, non riesce a compiersi.
E la seconda cosa, stupenda, che Maria Gioia ha detto è stata questa osservazione su cui dobbiamo riflettere; vale per tutti, anche questa! Dobbiamo riflettere profondamente. Perché nei giovani “c’è più attrazione per proposte di puro volontariato, servizio, aiuto e cose simili invece che di un cammino di fede”? Per via della famosa frattura fra la fede e la vita. Per via del fatto che non abbiamo comunicato che il “per Chi”, cioè Gesù, e il “perché”, con quale motivo io vado ad aiutare i bambini diversamente abili: quello che io chiamo “l’educazione al gratuito”, che deve essere praticata soprattutto dai giovani sistematicamente come l’andare a Messa. Non essendo chiaro il “per Chi” e mantenendosi una rottura tra la fede e la vita, è chiaro che la com-passione, cioè il “patire insieme”, è la reazione più semplice che l’uomo ha in comune con tutta la famiglia umana! Pensate a cosa succede quando capita la disgrazia, le disgrazie dei terremoti, come la gente si mobilita! Magari nel modo minore, ma dava, dà. Pensate alla tragedia, al dramma dei profughi, adesso non vogliamo entrare direttamente in questa questione, però la gente accoglie. Abbiamo proposto l’accoglienza diffusa nella nostra Diocesi e molto hanno risposto! C’è stata gente che ha preso profughi sconosciuti in casa propria, e li ha tuttora! Perché la compassione, Maria Gioia, è il moto naturale dell’uomo, perché tutti noi sperimentiamo la nostra fragilità, la nostra caducità, e quindi quando vediamo il bisogno dell’altro se siamo minimamente, minimamente aperti, gli andiamo incontro, gli andiamo incontro. 
Ecco, queste sono le due cose da tenere fisse. Ma se io non inserisco il moto della compassione nella bellezza di una esperienza compiuta come persona in comunità, diventerà ad intermittenza e tenderà a venir meno col passare del tempo; perché la generosità non è senza limiti! Quindi, per superare questa situazione, bisogna che la proposta educativa che noi facciamo sia integrale, come faceva Gesù! Partiva sempre dal bisogno, la folla aveva fame e li sfamava, però ,dopo che li ha sfamati , Lui si è ritirato un po’ di nascosto, perché voleva pregare Suo Padre – è impressionante quante volte Gesù si ritira a pregare: è un  interrogativo che dobbiamo porci -, però ci sono sempre quelli capaci, lo scovano, lo scoprono e allora lì davanti alla Sinagoga di Cafarnao, di cui restano ancora talune pietre anche adesso, la folla sterminata si fa davanti a Lui. E allora Lui attacca dicendo: «Ecco, voi siete venuti qui perché avete mangiato il pane. Ma io ho un altro pane! Un pane che viene dal cielo, un pane molto più pane di questo qui! Un pane che toglierà del tutto la fame!» E già lì, immaginiamo la scena: gli ultimi, quelli che erano dietro, in fondo, qualcuno comincia ad essere un po’ scettico, se ne va adagio adagio; e Gesù, però, va avanti, dice: «Questo pane è la mia carne!». Ammutoliti: questo qui cosa dice? Cosa sta dicendo? E vanno, e vanno, e vanno. E Lui resta lì, col gruppettino dei suoi. Ma non è che dice: «Ah bravi voi! Che almeno voi siete rimasti qui!» No, rincara la dose: «Volete andar via anche voi?» E Pietro ha quella espressione formidabile: «Dove andiamo? Se andiamo via da Te, dove andiamo? Tu solo hai parole che danno la vita, che dura!» Questa è l’esperienza cristiana. Se ognuno di noi non arriva a questo livello, “se andiamo via da qui dove andiamo?”! Quando penso, e mi viene in mente più di una volta al giorno, all’enorme quantità dei nostri fratelli e delle nostre sorelle battezzati nella nostra Diocesi, che hanno perso la strada di casa! Che dolore, che tristezza! Cosa hanno perduto! E noi cosa facciamo per invitarli ancora? La missione. La missione non è una astruseria, non è l’invenzione di strategie, non è la creazione di artifici e di sotterfugi per conquistare i “lontani”, no! La missione è una comunicazione semplice, che viene dalla gratitudine per il dono che ho avuto, e, grato per tutto questo, per gratitudine lo comunico. Allora tiro su il telefono: magari quel parente o quello che abitava dieci anni fa sul mio pianerottolo ha cambiato strada, non lo vedo da dieci anni, però tiro su il telefono, uso il telefonino e dico: «Senti, domani c’è, non so io, c’è la Messa. Domani c’è uno spettacolo: se vuoi, andiamo insieme!» Cosa succede al massimo? Al massimo dice di no.
 
DOMANDA
Don Silvano: La nostra città offre tante realtà di accoglienza e sostegno delle fragilità umane. Tutti conosciamo la RSA San Pietro e quindi chi meglio di Roberto poteva fare una domanda su questo tema?
Buonasera. Io faccio parte di Meridiana, una cooperativa sociale nata 40 anni fa proprio a San Biagio qui, a qualche centinaio di metri, da un gruppo di ragazzi che attraverso, così, l’accoglienza  e il supporto agli anziani della Parrocchia hanno cominciato, hanno cercato delle risposte alle tante domande che ci ponevamo all’interno dell’Oratorio. Oggi dopo 40 anni, oltre ai capelli che sono “diversamente neri” diciamo così, siamo riusciti a mettere in piedi una rete completa di servizi per gli anziani, per accompagnarli da quando stanno bene a quando, all’ultimo giorno della vita. Ma in questi ultimi 15 anni abbiamo anche accompagnato malati più complessi: malati in stato vegetativo, malati di SLA, malati nell’ultima parte della vita in Hospice. È proprio da queste tre categorie di malati che quotidianamente veniamo messi in difficoltà, veniamo messi di fronte al senso del limite, al senso della vita, in un momento storico dove ognuno di noi penso che si considera immortale, dove ognuno di noi rischia di vedere la morte come la sconfitta finale di una fatica. E le confesso che a volte è proprio difficile, di fronte  a situazioni dolorose, di fronte a situazioni dove vedere la fine del tunnel è davvero difficile, dare delle risposte. Pensiamo a famiglie, a un padre e a una madre che si trovano con un ragazzino in stato vegetativo dopo un incidente in moto; pensiamo a dei ragazzi che si trovano con un padre e una madre distesa su un letto immobile per anni; o uomini, donne che a un certo punto si trovano con una diagnosi di Sla. Ecco che le domande che ci arrivano da queste persone sono quelle che tante volte sentiamo anche dopo certe catastrofi: «Ma perché proprio a me?»«Ma dov’è Dio?» «E tutto sommato non è che io abbia mai ammazzato nessuno, mai fatto male, e si accanisce contro di noi!». Ecco, noi nel nostro piccolo cerchiamo di essere di fianco, ma non abbiamo soluzioni. Lei prima parlava di gioia, ma è proprio difficile comunicare la gioia in queste situazioni! Ecco, la mia domanda è: ci dia anche qualche consiglio, qualche aiuto per essere anche un supporto in questi momenti.
E l’altra domanda che mi viene poi, così, ad accompagnare a volte delle persone in Hospice che improvvisamente si ritrovano a dire: «Ho finito la mia storia e devo fare il bilancio con la mia vita», è: come nelle nostre comunità possiamo rimettere a tema il problema del fine vita, perché credo che questo momento così faticoso, così doloroso, possa essere anche un momento di crescita per le nostre comunità; e trovare delle persone stupite di fronte ad una morte improvvisa e di fronte ad una morte assolutamente inaspettata è davvero una fatica; ma soprattutto credo che sia importante per le nostre comunità prepararci a questo momento che non scappa per nessuno. Grazie.
 
È un intervento, questo, che si vede ha alle spalle un lavoro con le situazioni, diciamo, di fragilità estrema che fanno apparire all’orizzonte il fine vita. Dovendo essere ipersintetico, dico che la questione del fine vita può essere affrontata nella prova, nel dolore - perché Gesù non è venuto a toglierci il dolore, la prova, l’angoscia, casomai è venuto per farci compagnia dentro questa situazione, è Lui che ci è passato per primo -, ma comunque, per affrontare il problema del fine vita, si deve inesorabilmente affrontare il problema dell’aldilà. L’aldilà è l’aspetto glorioso dell’eternità che comincia quaggiù! Perché essendo Gesù entrato nella storia per salvarmi, per essere compagnia che mi guida alla mia verità e al mio destino, l’eterno è già entrato nel tempo! Il Figlio di Dio che si fa uno come noi porta Dio nel tempo! L’incarnazione dà tutto il peso necessario al nostro essere “uno” di anima e di corpo. Quindi il primo suggerimento che mi sento di dare, senza in nulla sottostimare, sottovalutare, il dolore e le reazioni anche dure contro il dolore - «Perché Dio ha dato a me questa prova!»  -, è che bisogna che noi ricominciamo a riflettere sulle cose ultime, a prepararci lentamente. Ci vorrebbero dei bravissimi poeti per questo o degli scrittori, ma quel che facevano i nostri vecchi – io mi ricordo la mia mamma  –, che leggevano tutti i giorni l’ “Apparecchio della buona morte” di Sant’Alfonso, ogni giorno si preparavano lentamente, adagio adagio, anche fin da giovani. Allora dobbiamo riproporre tutto, spalancare all’annuncio del fatto cristiano! E al destino di Paradiso che noi abbiamo! Perché noi non siamo dei sostenitori dell’immortalità dell’anima e basta! Noi sosteniamo la risurrezione della carne! Ciò vuol dire, come dice Giobbe: “Io risorgerò! Io!” La risurrezione non è la rianimazione di un cadavere, Lazzaro è risorto per morire come tutti noi: la risurrezione di Gesù non è questa cosa! È una risurrezione per vivere. E come ci dice la Pasqua, risorgeremo nel nostro vero corpo, per cui sarà chiarissima la continuità tra questa vita, questo mio corpo, questo mio essere nella carne, con tutto quello che significa capacità di godere del bene, di ammirare il bello, di amare, di soffrire, di faticare, di sbagliare, di commettere peccati. Ma ci sarà una continuità tra questo io e il corpo finale nuovo. Certo, Gesù ci ha lasciato, perché ci vuole liberi,  il minimo necessario perché noi ci spalancassimo con la fede a questa prospettiva! Anche se il desiderio di vivere per sempre ce l’han dentro tutti. Qualche anno fa ,quando ero Patriarca di Venezia, ho fatto una volta una discussione televisiva con Scalfari, una trasmissione di un’ora, il quale diceva: «Ah, ma voi siete cristiani, siete dei paurosi, imbelli; avete paura della morte, di finir nel niente, e quindi avete inventato su questa storiella!» Gli ho detto: «No, un momento! Lei ha nel cuore…: le piacerebbe durare sempre sì o no?» Non durare sempre la vita, questa vita indefinitivamente! Adesso 115, 120 anni. Dicono gli esperti che noi siamo tarati sui 120 anni più o meno, pare che ci arriveremo tutti ,non noi qui al nostro tavolo, ma molti dei ragazzi che han parlato prima senz’altro; adesso poi ci sono delle scoperte assolutamente…, sarebbe bello parlarne, ma non ne abbiamo tempo. Però, voglio dire: già arrivare a 120 è dura, un po’ di noi la si rischia. Se si va ancora più in là, ragazzi miei! Io almeno personalmente la penso così. Però il cuore della vicenda è che noi vivremo delle relazioni, bisogna superare lo spazio e il tempo. Noi non saremo più in uno spazio, e questo per noi è impossibile da immaginare, ma sarà, come dire, un essere in rapporto con Dio, che vedremo faccia a faccia, nella pienezza dei rapporti con tutti. Una cosa dell’altro mondo. Si può balbettarla, ma non immaginarla. 
Allora io dico che anzitutto noi dobbiamo avere il coraggio di proporre tutta intera la verità cristiana, anche sulle cose ultime! Morte, giudizio, Inferno e Paradiso. Questo è fondamentale. E dopo accompagnare, come voi fate. Ho visto quel che state facendo, ma tantissimi: accompagnare, accompagnare. Questo lo si deve con gli anziani: bisogna aiutarli a stare nella dignità fino all’ultimo giorno! Questo è un diritto dell’uomo come uomo. E tutti noi, a partire dai bisogni dei nostri cari, dobbiamo camminare così. Ma ci sono delle esperienze! Adesso non ho tempo, ma anche questa settimana ho ricevuto due o tre lettere di famiglie… Per esempio, la lettera di tre figlioli, di cui il maggiore fa l’Università e gli altri le scuole superiori, che hanno perso la mamma di 48 anni. E mi raccontano come la mamma ha accettato, era un’insegnante di liceo, ha accettato la diagnosi di un tumore al cervello, lei che era un tipo piuttosto ribelle e dopo un anno e mezzo! Faticosissimi anni. Sono proprio come dicono gli inglesi, dei survivor, dei sopravvissuti nell’ultimo. Queste chemio, queste chemioterapie. Ma chissà quanti di voi hanno dovuto già toccare con mano tutto questo. E mi hanno mandato uno scritto che volevo portare ma l’ho dimenticato, in cui sostanzialmente dice così: “Io ho capito che la mia fede era piccola, ma quando mi han dato questa diagnosi io, dopo un giorno o due di sofferenza, ho detto «Sì.»  Sì, perché lo dicevo a Dio! Come si fa a non dire “sì” a Dio! E da quel momento lì sono stata serena!” Questo fino a tre giorni prima di morire! E i ragazzi sono venuti pacificati l’altra sera, non so più dov’ero, in un incontro come questo, a portarmi questi scritti della mamma.
 Bisogna aver davanti la prospettiva tutta intera e poi accompagnare. E pensare, questa è l’altra cosa che mi è venuta, mi è rimasta impressa quando ho assistito alla morte di un mio amico vescovo: c’era la nipote che gli teneva una mano, io ho detto la Messa, lui aveva già sostanzialmente perso coscienza anche se qualche moto l’ha avuto, e io ho percepito per la prima volta che a un millimetro, a un millimetro di distanza della mano della nipote c’era già la mano di Dio pronta! Un millimetro. Quindi, non si va nel niente.
Perciò proporre la bellezza della prospettiva del “per sempre” del cristiano, e accompagnare: accompagnare con delicatezza, con tatto, amare! Amare! E questo vale per i nostri cari soprattutto, soprattutto quando diventano anziani,  e i grandi vecchi a cui dobbiamo assicurare dignità fino in fondo; vale per le istituzioni che sono preposte a questo. Vale per quella esperienza bellissima del volontariato.
 
DOMANDA
Don Silvano. Questa sera abbiamo vissuto l’esperienza di una comunicazione nella fede che il nostro vescovo ci ha regalato. L’Arcivescovo ha accolto le nostre domande e pescando un po’ dalla sua cultura, dalla sua fede, dal suo ministero, ha cercato di rispondere ad esse. Ora una domanda sul tema della comunicazione del Vangelo in una società complessa come la nostra. La pone il giornalista Fabrizio Annaro. 
Velocemente. Sono un giornalista. Abbiamo dato vita ad un giornale online di buone notizie: un’esperienza un po’ coraggiosa, con tanta simpatia e incoraggiamenti ma anche tante problematiche e tante difficoltà. La domanda è questa: in un mondo dove la comunicazione è cambiata fortemente… [su domanda: sono Fabrizio. Il giornale è “Il Dialogo di Monza”. Io l’ho dato per scontato. Il “Dialogo di Monza” è un giornale online, ma anche per l’ora tarda.] Dicevo: un giornale di buone notizie, tante difficoltà. La domanda è: come comunicare il Vangelo, la Sua bellezza, le cose belle che la Chiesa genera, in un mondo della comunicazione fortemente cambiato? Cioè prima guardavamo la televisione, leggevamo il giornale: il messaggio era a senso unico; adesso che c’è Face book, ci sono delle pagine che sono già dei giornali, dei mezzi di comunicazione; c’è una babele di informazione che ci assalgono! Come comunichiamo il Vangelo? Come comunichiamo questa bellezza? Come portare la Buona Notizia in prima pagina! Io ho la sensazione, caro Cardinale, che a volte siamo un po’ timidi:dovremmo un po’ alzare la pressione arteriosa, lo diceva Martini, delle vene che passano nel nostro corpo, ed essere più convinti e decisi che abbiamo una bellezza interiore e che facciamo delle cose belle perché queste sono ispirate, ecco. Ho la sensazione che siamo un po’ timidi. Grazie.
 
Rispondo sinteticissimamente. Sì, la strada che Fabrizio ha indicato anche con questa provocazione a superare la timidezza, si chiama testimonianza! Testimonianza che però non è il buon esempio e basta! Il buon esempio: d’accordo, ci mancherebbe altro! Testimonianza è un modo di conoscere la realtà, è un modo di comunicare la realtà conosciuta! Cioè di comunicare la verità. E questo dovrebbero fare, devono fare soprattutto i mass media. Allora, abbiamo parlato prima della fragilità della morte, della prospettiva di futuro ecc: bene, allora comunichiamo tutto questo! Raccogliamo, chi fa questo lavoro raccolga e narri la testimonianza di bene che vede intorno a sé! La comunichi! 
Cito sempre questa stupenda frase di Santa Madre Teresa di Calcutta che un giorno ricevette a Calcutta un giornalista del New York Times ,che era stato inviato a fare un’intervista. Lei la considerava un po’ una perdita di tempo e quindi gli disse: «E venga dietro! Vada dietro le mie suore, vada a vedere! Cominci a vedere cosa fanno.» E così passavano i giorni. Dopo appunto quello lì l’ha bloccata e le ha detto: «Ma madre, io son qui da 15 giorni, devo anche tornare a casa.» « Allora mi faccia una domanda!»  Allora lui le ha detto: «Ma come fanno le sue ragazze, belle ragazze, di 18, 19 anni, a piegarsi in una città come questa, su quasi cadaveri pieni di piaghe, con i vermi dentro, e portarli, e lavarli a casa dove voi li portate, per accompagnarli a morire!» E lei ha dato questa risposta che per me è proprio la chiave per risolvere la questione del fossato tra la fede e la vita: «Esse amano Gesù, e trasformano questo amore in azione vivente.» Esse amano Gesù, e trasformano questo amore in azione vivente. Allora “Il Dialogo di Monza” deve fare eco a gente che vive così, anche se non è credente eh! Fare eco! Narrare, narrare.
Seconda cosa: evitare la tentazione, che io trovo deleteria, che purtroppo è dominante nel mondo dei mass media, di scambiare – può essere un po’ difficile a prima vista – il verosimile col vero! Invece son lì tutti a fare i processi alle intenzioni. Nella mia esperienza di 25 anni e passa di episcopato, soprattutto da quando sono a Milano - appena tu metti il piede fuori dal portone li hai addosso tutti, perché ormai hanno anche degli specialisti per la questione della Chiesa, dell’Arcivescovo ecc. -, è difficilissimo che io trovi riportate le cose che dico quando parlo con loro. Non succede quasi mai! Ma loro danno la colpa ai titolisti, la colpa ai titolisti. Quindi bisogna sempre leggere tutto il testo per vedere se è rimasto qualcosa, perché il titolo è pregiudicato da quello che, più o meno per via dello scoop, il giornale, il direttore o quello che ha un pregiudizio verso di te riesce a raccontare. E la strada per questo errore gravissimo e per questa ingiustizia pesantissima, la strada è proprio scambiare il verosimile col vero. Cioè: secondo me la verità è questa - questo è il verosimile - e dire che le cose stanno così, anche quando non stanno così. Allora dopo si manca di rispetto alla dignità della persona ecc. Adesso qui il discorso sarebbe lungo. 
Però consiglio queste due cose. La prima cosa: narrare la testimonianza integrale nelle forme adeguate evidentemente allo strumento, io non sono esperto in questo. E la seconda cosa: dire sempre solo ciò che si è verificato essere vero; e quando per errore ci si accorge che si è detto il verosimile ma non il vero, avere l’onestà di correggersi sul giornale stesso. Non si può mettere alla gogna una persona per 20 anni, magari farla passare per la galera ecc., e poi quando viene assolto mettere in dodicesima pagina tre righe per dire “quello lì è stato assolto”: questo non è giusto. Non è giusto. Grazie
 
 
Testo non rivisto dall’autore - scarica il documento in pdf --> Visita dell'Arcivescovo - nov 2016.pdf

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Lettera del Vicario Generale---> file PDF